Nonostante la piena assoluzione di tutti gli imputati emessa dalla Corte d'Assise di Cosenza, il 24 aprile 2008, si va in secondo grado. Il 18 maggio avrà inizio, a Catanzaro, un altro capitolo di questa assurda storia in cui sono iscritti numerosi militanti delle rete meridionale autorganizzata
Il prossimo 18 maggio si aprirà, presso la Corte d’Appello di Catanzaro, il secondo grado del processo al “Sud Ribelle”. In primo grado, tutti gli imputati sono stati assolti con formula piena (con sentenza emessa in Corte d’Assise, il 24 aprile 2008) da gravi accuse tra cui, associazione per delinquere, associazione sovversiva, attentato contro organi costituzionali a Genova, attentato contro organi costituzionali a Napoli, porto di oggetti atti ad offendere, resistenza a pubblici ufficiali, turbativa violenta del possesso di cose immobili, propaganda sovversiva.
Ma la sentenza evidentemente non ha soddisfatto la Procura che ha fatto ricorso in Appello!
Un processo costato, dal 15 novembre 2002, la privazione della libertà di numerosi militanti e la pressione delle forze dell’ordine e della magistratura.
Un processo voluto e ottenuto da chi intende imbavagliare l’autorganizzazione e il diritto di esprimere il dissenso.
Una sorta di inquisizione che ha riesumato gli spettri del passato gettando ombre lunghe sulle responsabilità e sulle ragioni che lo hanno determinato.
Perché questa strana inchiesta non passi inosservata e conduca ad una nuova piena assoluzione di tutti gli imputati riconoscendo, senza condizioni, la libertà d’opinione e di espressione.
Ecco perché terramara intende riportarlo in primo piano riproponendo, da oggi, una serie di articoli realizzati da Claudio Dionesalvi, imputato nel processo (e collaboratore di fiducia di questo giovane progetto editoriale) che, nel corso di questi anni, ha dato una sua interpretazione critica su quanto stava accadendo nella città di Bernardino Telesio.
Qui, una prima cronostoria realizzata da un gruppo di militanti bruzi.
– Dicembre 2008: la Procura generale di Cosenza chiede l’Appello e appello sarà. Il prossimo 18 maggio, a Catanzaro. La prima parte del lungo processo è terminata il 24 aprile del 2008 dopo cinque anni dall’avvio e dopo 50 lunghe udienze spesso iniziate la mattina e finite nel tardo pomeriggio. Il Pm del processo contro i 13 militanti del Sud Ribelle, Domenico Fiordalisi non si era smentito. Alla fine della sua lunga discussione, durata ben 6 ore, aveva richiesto per tutti gli imputati oltre 50 anni di carcere. Aveva chiesto 6 anni di carcere più 3 anni di libertà vigilata per Francesco Cirillo, Francesco Caruso e Luca Casarini; 3 anni e 6 mesi più 2 anni di libertà vigilata per Lidia Azzarita, Alfonso De Vito, Anna Curcio, Salvatore Stasi, Peppe Fonzino, Michele Santagata, Antonino Campennì; 2 anni e 6 mesi più 1 anno di libertà vigilata per Emiliano Cirillo, Vittoria Oliva e Claudio Dionesalvi.
Ma la Corte d’Assise di Cosenza presieduta da Maria Antonietta Onorati non ha assolutamente tenuto conto né degli avvocati dell’accusa della parte civile, nè dei teoremi del Pm Fiordalisi, né delle testimonianze del dirigente della Digos di Cosenza, Cantafora, né dei rapporti dei Ros. Non esistevano prove tangibili del coinvolgimento dei 13 imputati negli scontri di Genova: nessun video, nessuna foto, nessuna testimonianza diretta. Solo parole, opinioni, discussioni captate per telefono dopo i fatti di Genova. Nessuna prova di alcuna organizzazione degli scontri.
Basso profilo mediatico. Il processo interessò poco la stampa nazionale ed anche quella regionale salvo qualche trafiletto cronachistico. Eppure, quello ai militanti del sud ribelle è un processo che ha tutti i risvolti di un processo alla democrazia, alla libertà di manifestare, alla sospensione dei diritti, oltre che alla libertà di pensiero e di movimento rappresentate da un intera generazione.
Qui, le accuse di devastazione sono generiche ed il perno di tutta l’accusa si basa esclusivamente su reati di opinione e di associazione. Pesa come un macigno sulle udienze processuali la morte di Carlo Giuliani che viene fuori ogni tanto dalla visione dei video-shock sul massacro e sulla “macelleria messicana” alla genovese. Archiviato il “caso De Gennaro” – che la corte non ha voluto ascoltare sulle giornate di Genova, come teste d’accusa, e definendo la sua “testimonianza sovrabbondante” – spuntano come funghi altre notizie collegate al procedimento penale contro il Sud Ribelle. Ricordiamo solo alcuni degli elementi e dei personaggi, ormai noti, assolutamente non trascurabili, per inquadrare il processo cosentino. Una voce, risuonò su tutte: fu quella del dottor Mortola, l’uomo che pronunciò la frase: “Oh ragazzi, le molotov non lasciatemele qui”, riferendosi alle famose molotov che costarono l’accusa di falso e la cui esistenza fu utilizzata come pretesto per il massacro alla Scuola Diaz.
Pensiamo, poi, ai verbali falsificati dagli agenti nella caserma di Bolzaneto, fatti firmare ai fermati stranieri, nei quali, involontariamente, si rifiutavano di voler avvertire le proprie ambasciate e di chiamare un avvocato. Ai commenti degli operatori telefonici di pubblica sicurezza che rispondevano ai centralini nelle ore “calde” con: “siamo uno a zero per noi” o “gli zecconi maledetti”.
Voci che risuonavano dappertutto, ma che non poterono essere ascoltate nelle aule del triste
Tribunale di Cosenza. Prendono, intanto, corpo i primi risarcimenti per i pestaggi di strada, a
Genova nel 2001, nei confronti dei manifestanti. Chi risarcirà? Lo Stato. Lo stesso Stato che si è costituito come parte civile nel processo di Cosenza, contro la “Rete Meridionale del Sud Ribelle” che, solo nella fantasia dell’ex titolare dell’inchiesta Fiordalisi, poteva essere il “regista della sovversione a Genova e Napoli”.
Veleni giornalistici.
Alcuni “strani’ movimenti – a livelli alti ma oscuri – sono descritti in vari articoli, sul quotidiano, La Repubblica. A quanto pare, oltre che per magistrati, vip, politici, venivano confezionati dossier anche sui movimenti antiglobalizzazione in particolare nella preparazione del social forum di Firenze nel 2002. Gli arresti e l’operazione “Sud Ribelle” doveva partire proprio a ridosso del social forum. Ma poi qualcuno consigliò di spostare gli arresti a qualche settimana dopo. La Digos cosentina in tutto il procedimento è centrale, perché fa partire proprio da uno strano attentato, avvenuto a Roma il 10 aprile del 2000, ad opera di un fantomatico gruppo terroristico, detto Nipr, l’inchiesta sul Sud Ribelle.
Questi fantomatici attentatori mandarono, secondo quanto scritto dalla Digos e dal Ros, un volantino alla Zanussi di Rende. Uno pensa ad una fabbrica con operai, ed invece non è altro che un deposito di ricambi della Zanussi con un solo impiegato tuttofare che trova nella casella della posta il “magico volantino“. Da qui, le prime intercettazioni a militanti storici e non dell’antagonismo calabrese. Intercettazioni che non hanno fatto altro che registrare opinioni, discussioni, convocazioni di riunioni pubbliche che il Pm Fiordalisi ha ripetuto, passo per passo, durante la sua lunga requisitoria cercando di farle apparire come discussioni operative. Per capire il perché si sia deciso da parte dello Stato l’attacco al movimento meridionale del Sud Ribelle bisogna conoscere cosa è successo immediatamente prima gli arresti del 15 novembre del 2002.
Dalle mobilitazioni agli arresti. Il territorio meridionale per la prima volta dopo decenni di silenzio è attraversato da una serie di lotte dure ed autonome. Dai disoccupati di Napoli, agli operai di piccole fabbriche in chiusura, all’occupazione di strade e ferrovie, è un fiorire di lotte, dove il controllo tradizionale dei partiti e delle istituzioni è completamente sfuggito, loro, di mano. La prova del fuoco è il Global Forum di Napoli a maggio del 2001. Il movimento riesce a portare in piazza, per la prima volta cinquantamila persone provenienti da tutti i territori meridionali. Comitati contro le discariche e gli inceneritori, comitati di base sindacali, comitati di lotta di fabbriche, studenti, immigrati, per la prima volta sono insieme a Napoli per protestare contro la vergogna rappresentata dai capi di stato riuniti e barricati in piazza Plebiscito, nel Palazzo Reale che fu dei Borboni.
Una manifestazione assolutamente pacifica viene attaccata in piazza Municipio, da tutti i lati, come una moderna Little Big Horn, dai reparti speciali di polizia, carabinieri e finanza. E’ una mattanza. Centinaia di compagni e compagne vengono massacrati e trasportati in caserme dove vengono torturati. E’ la prova su Genova. Il ministro ulivista è Enzo Bianco che se ne sta seduto comodamente in un ristorante napoletano, col cellulare spento, mentre la polizia si sbizzarrisce fra i vicoli di Napoli alla ricerca di sovversivi. Ma il movimento non si ferma. L’esperienza di Napoli impone livelli di coordinamento organizzativo e soprattutto impone una piattaforma sulle istanze che provengono dal sud. Nasce il Sud Ribelle. Per la prima volta a Cosenza si riuniscono gruppi, comitati, sindacati, associazioni, centri sociali, per andare insieme a Genova e portare insieme quella che è la realtà e la specificità del sud. In vista dell’evento di Genova, il sud ribelle mette in atto una serie di iniziative che pongono le problematiche del sud: la militarizzazione del territorio, la Nato, la ‘ndrangheta di stato, la devastazione ambientale del territorio, su tutte, il Ponte sullo Stretto, le scorie nucleari a Policoro, le prime sperimentazioni di Ogm su territori da sempre dediti all’agricoltura tradizionale, le navi dei veleni che esploderanno sulle cronache dei giornali ben sei anni dopo.
A giugno 2001 si manifesta, a Policoro, contro il deposito di scorie nucleari e contro le sperimentazioni Ogm sulle melanzane. A luglio si occupano le agenzie di lavoro a Napoli, Taranto, Cosenza, Palermo. Il movimento cresce e diventa sempre più presente all’interno delle lotte. A Genova per la prima volta si arriva uniti ed organizzati. Ed a Genova scatta la seconda repressione dello Stato e dei suoi sbirri sul movimento. Al posto del ministro Bianco alla cabina di comando ci sono Scaloja e Fini.
Il ritorno da Genova rappresenta l’avvio di una serie di nuove iniziative sul territorio meridionale. La presenza nelle lotte è sempre più significativa e soprattutto organizzata. Lo Stato non può più stare fermo di fronte alla crescita evidente del movimento e dà mandato ai Ros di organizzare gli arresti.
Ros e pedinamenti. La vita dei militanti appartenenti al movimento del Sud Ribelle, viene scandagliata fin nei piccoli particolari. Cominciano una serie di pedinamenti, intercettazioni, servizi fotografici, sull’attività di cento militanti del sud e si raccolgono alcuni faldoni provenienti da altre procure, si entra addirittura nelle case, oltre che nelle auto, per apporvi micro spie. Il pedinamento è continuo fino alla decisione, insieme alla Procura di Cosenza che ha sposato in pieno le “prove” portate da Ros e Digos, dell’arresto di 18 attivisti. Cosa che avviene nella notte del 15 novembre 2002. Il Sud ribelle secondo gli investigatori è un enorme associazione sovversiva all’interno della quale agisce un gruppo ristretto di sovversivi con intenti terroristici. I 18 attivisti, considerati elementi pericolosissimi, vengono portati in carceri speciali e qui restano per 20 giorni fino a quando il Tribunale del Riesame di Catanzaro non ne decide la scarcerazione. Gli attivisti del sud ribelle vengono accusati di reati pesantissimi che vanno dalla Cospirazione politica mediante associazione al fine di: Turbare l’esercizio delle funzioni del governo italiano durante il G8 a Genova nel luglio 2001; Effettuare propaganda sovversiva, creare una più vasta associazione composta da migliaia di persone volta a sovvertire violentemente l’ordinamento economico costituito nello Stato.
Le tappe dell’inquisizione.
– 15 Novembre 2002: 18 attivisti del movimento meridionale sono tratti in arresto per vari reati associativi .
– 23 Novembre 2002: decine di migliaia di persone scendono in piazza a Cosenza per chiedere la liberazione immediata di tutte e tutti gli arrestati.
– 2 Dicembre 2002: Il Tribunale della libertà di Catanzaro produce una sentenza che, oltre a rimettere in libertà tutti gli arrestati, demolisce dalle fondamenta l’impianto accusatorio del provvedimento. “Esprimere il dissenso non è reato” è il messaggio cardine delle motivazioni di quella sentenza.
– 9 Maggio 2003: Nonostante la richiesta dello stesso Procuratore Generale di rigettare il ricorso presentato dal Pm titolare dell’indagine, la Cassazione annulla la sentenza del Tdl di Catanzaro per esclusivi vizi di forma, mentre i contenuti della sentenza contestata non sono minimamente messi in discussione.
– Luglio 2003: Il Pm Fiordalisi presenta una “memoria” in cui ribadisce la volontà di arrestare nuovamente tutti e 20 gli indagati ed estende, all’intero movimento, le accuse già formulate contro il Sud Ribelle. Fiordalisi chiede di depositare decine di migliaia di pagine contenenti “nuove” prove: si tratta essenzialmente di altre intercettazioni telefoniche riciclate da altre procure che le avevano dichiarate inutili e insignificanti, ma per Fiordalisi sono una conferma: le contestazioni al G8 di Genova erano un attacco al governo Berlusconi. Secondo lui, gli indagati volevano “turbare l’esecuzione delle funzioni del governo italiano, sovvertire violentemente l’ordinamento economico costituito dello Stato, sovvertire la globalizzazione economica”.
– Novembre 2003: Nuova sentenza del Tribunale della libertà di Catanzaro. A carico di cinque su diciotto già scarcerati, rimangono i gravi indizi di colpevolezza. A tre di loro viene addirittura imposto l’obbligo di firma (Caruso, Cirillo, Santagata) che durerà fino all’inizio del processo per oltre 1 anno; per tutti gli altri cade ogni contestazione.
– Aprile 2004: Richiesta di rinvio a giudizio per tredici degli indagati, due dei quali completamente estranei, fino a quel momento, a tutta la vicenda giudiziaria (Luca Casarini e Alfonso De Vito). Le posizioni di altri 41 indagati vengono archiviate. Solo per 11 dei 18 arrestati, nel novembre 2002, è stata presentata richiesta di rinvio a giudizio; cinque di quelli che finirono nelle carceri speciali vedono cadere ogni contestazione a proprio carico. Fiordalisi aggiunge il reato di “associazione a delinquere”. Quindi, non solo sovversivi e cospiratori, ma anche delinquenti.
– Maggio 2004, prima udienza preliminare. I legali si oppongono alla costituzione di parte civile presentata dalla Presidenza del Consiglio e dai ministeri dell’Interno e della Difesa, che è stata però accolta. Il governo chiede cinque milioni di euro di risarcimento per i danni non patrimoniali, cioè d’immagine, subiti in occasione dei vertici di Napoli e di Genova. Ma il Gup Giusi Ferrucci, respinge questa e tutte le altre eccezioni della difesa, e prim’ancora fissa il calendario del dibattimento, stralciando la perizia sulle intercettazioni (che sono il cuore del “teorema Fiordalisi”). Gli imputati, dinanzi a questo atteggiamento del Gup, che mostra già di aver deciso l’esito dell’udienza, chiedono la ricusazione del magistrato.
– Giugno 2004: La corte d’Appello rigetta la ricusazione del Gup fatta dagli imputati e ristabilisce il collegio. Gli imputati che hanno firmato la richiesta di ricusazione vengono anche multati di 1500 euro ciascuno.
– Giugno 2004: La Corte di cassazione rigetta il ricorso presentato da Caruso e Santagata contro
l’obbligo di firma che li costringe ormai da nove mesi a firmare in caserma. Oltre al rigetto, i due imputati sono condannati ad una multa di 500 euro ciascuno.
– Luglio 2004: A Roma nasce l’Osservatorio parlamentare sul diritto al dissenso: seguirà il processo di Cosenza. I firmatari sono 12 deputati e due senatori. Il Gup rinvia a giudizio 13 indagati. Le pene previste per i reati contestati, vanno da 12 a 15 anni di carcere.
– Agosto 2004: La Cassazione respinge i ricorsi sulla presunta incompetenza territoriale del tribunale di Cosenza. La Procura presenta una “integrazione d’indagine”. I mezzi di informazione locali annunciano che tra i testi d’accusa il Pm Fiordalisi ha inserito il capo della polizia De Gennaro.
– 27 novembre 2004: Cosenza si mobilita di nuovo in vista dell’inizio del processo con tre giorni di mobilitazioni, assemblee, musica ed un corteo con 10mila persone scese di nuovo in strada a dare sostegno
– 2 Dicembre 2004: Inizio del processo con le revoche degli obblighi di firma a Caruso, Cirillo e Santagata. Volutamente, il clima all’interno del Tribunale viene reso pesante dalla Digos con continue perquisizioni a cittadini e compagni che vogliono assistere al processo. Lo stesso non avviene in altre aule del tribunale a processi contro ‘ndranghetisti. In una delle tante udienze addirittura un poliziotto aggredisce due compagni sulla soglia dell’aula.
La pausa processuale e una sentenza della Corte Costituzionale fanno riprendere il processo a Ottobre 2005. Si inizia ascoltando i testi dell’accusa. Intanto, anche la difesa si organizza, facendo entrare in aula il G8 nella sua gestione complessiva dal punto di vista della gestione dell’ordine pubblico, proiettando i video e visionando le foto. L’interazione. tra avvocati genovesi e cosentini e segreterie legali è alta, proprio mentre si ascoltano dei testi molto importanti in entrambi i filoni processuali, i famigerati Mortola, Mondelli e Bruno.
Il trio delle aule genovesi. Mortola sostiene diverse cose: che il corteo dei “disobbedienti” (una delle aree politiche italiane) era autorizzato, ma non riesce a spiegare perché sia stato attaccato dai carabinieri (confronta Processo ai 25, su Via Tolemaide). Bruno (capitano dei carabinieri di Carrara a comando della Compagnia Ccit Alfa del III Battaglione Lombardia) ricorda molotov e lanci di materiale vario, dappertutto, ma nelle numerose immagini visionate su richiesta del Pm e delle difese non riesce a indicare neppure uno spillo lanciato contro i carabinieri. Notevole poi, che colui che ha diretto le cariche, in via Tolemaide, abbia candidamente ammesso di non sapere e di non aver saputo allora se i cortei fossero autorizzati o meno (il corteo di Via Tolemaide era autorizzato!).
I tonfa in dotazione ai suoi uomini poi, guardando bene le immagini mostrate durante l’udienza, si trasformano in manganelli, mazze, bastoni. A quel punto, Bruno è costretto comunque a dire che non aveva una spiegazione a questo armamentario in quanto aveva personalmente passato in rassegna i suoi uomini la mattina. Mondelli (funzionario della Polizia di Stato di Cuneo, distaccato a Genova, a capo del plotone dei carabinieri del capitano Bruno) dichiara di non aver partecipato agli scontri, anzi di aver fatto di tutto per metter pace tra i due “contendenti” e di non aver dato l’autorizzazione al capitano Bruno di attaccare deliberatamente i manifestanti autorizzati, dando la colpa ai carabinieri.
Il successivo “teste eccellente” che viene ascoltato è il capo della Digos di Cosenza, Alfredo Cantafora, che si permette, dalla sua posizione di testimone, di emettere sentenze non richieste (“sono colpevoli”), deridere i testi, addebitare agli imputati la morte di Carlo Giuliani per finire, subito zittito dalla Corte, a fare un pindarico collegamento con le Brigate Rosse.
Ma i momenti migliori sono quelli di ilarità generale in aula quando Cantafora dichiara che alcuni imputati armati di verdure e scolapasta avrebbero usato violenza sulle forze dell’ordine.
È stata poi la volta di Eugenio Astorino, anch’egli agente Digos di Cosenza che ha deposto sull’utilizzo (peraltro perfettamente legale) di sistemi di criptazione della posta elettronica da parte di alcune persone non imputate nel procedimento odierno, nonché sul “pericoloso” sistema di comunicazione tra manifestanti: nientemeno che Radiogap, il progetto radiofonico nato durante il G8 a copertura delle manifestazioni.
Colpo di scena: scompare il Pm Fiordalisi, trasferito o meglio ritornato nella “sua” Procura di origine, che viene sostituito da una staffetta di diversi colleghi. Il processo continua con l’escussione di diversi testimoni della difesa. Molti, quasi tutti lavoratori e sindacalisti di base, interrogati sulle giornate del Global Forum del 2001 a Napoli, hanno raccontato ciò che è avvenuto nel “sacco” di piazza Municipio; la mattanza attuata dalle forze dell’ordine nei confronti dei manifestanti: teste rotte, rastrellamenti negli ospedali, deportazione nella caserma Raniero, lacrimogeni a gogò, pestaggi gratuiti, fughe generalizzate, scene di panico, intere famiglie terrorizzate e quant’altro. Terminata l’escussione dei testimoni della difesa la novità più grossa dell’autunno ce la riserva l’udienza n. 35, con il ritorno in aula di Fiordalisi, assieme al suo fedele factotum, perchè non c’erano altri pm disposti a sporcarsi le mani con questa spazzatura, in vista della sentenza che era stata calendarizzata per il 19 dicembre, in perfetta sincronia con le aule genovesi, ma rinviata al 31 gennaio.
– 10 gennaio 2008 il testimone dell’accusa, l’ispettore capo Rosario D’Agostino della Digos di Cosenza, è stato ascoltato nel processo Diaz. Doveva fugare, una volta per tutte, ogni dubbio rispetto alla presenza di soggetti pericolosi all’interno della Diaz, che avrebbero dato il via al pestaggio dei presenti. La sua trascrizione è stata depositata anche a Cosenza.
– 15 gennaio: la città di Cosenza è omaggiata del trasferimento e promozione a vicequestore e capo della mobile, Fabio Ciccimarra. Il nuovo arrivato è molto conosciuto nell’ambiente del G8 per essere stato processato a Genova per i pestaggi avvenuti a Napoli durante il Global Forum del 2001.
– 24 gennaio 2008: il Pm Fiordalisi chiede 50 anni per tutti gli imputati
2 febbraio 2008: la città si mobilita ancora in vista della sentenza. Ancora 10 mila persone in piazza in solidarietà agli imputati.
– 24 aprile 2008: fine del processo con l’assoluzione piena per tutti gli imputati.
Dicembre 2008: la Procura generale di Cosenza presenta Appello
– 18 maggio 2010: Catanzaro. Inizio Processo d’Appello
Per tutto questo è di nuovo necessario mobilitarsi. Stare vicino agli imputati. Far sapere allo Stato, ai magistrati, alla gente, che il movimento è ancora presente nei nostri territori, e soprattutto attivo contro le ‘ndranghete di Stato, i partiti corrotti, i politicanti che giocano sulla pelle della gente con false promesse.
Le scorie nucleari sono depositate a Policoro, le sperimentazioni Ogm proseguono, la richiesta del lavoro si aggrava ed è peggiorata la precarietà, le agenzie del lavoro giocano sui disoccupati, si muore ancora nei cantieri, le devastazioni ambientali proseguono lungo le nostre coste, si pensa ancora di regalare il Ponte sullo stretto alla finanza ‘ndranghetista, si vuole nascondere la verità sulle navi dei veleni, si vogliono riempire i nostri territori di diossina con nuove discariche e inceneritori, sulle morti della Marlane non c’è giustizia.
NESSUN COMMENTO