Nel secondo giorno della Berlinale in concorso ci sono delle headlists: il grande Herzog con “Queen of the Desert” e “Taxi” de l’iraniano Jafar Panahi. Queen of the Desert si ispira alla biografia di Gertrude Bell, nobildonna e intellettuale inglese, vissuta tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900. Infatuata del mondo arabo, sceglierà di essere seppellita a Baghdad. Nella conferenza stampa affollata all’inverosimile, Il settantaduenne regista tedesco, magnificando i diari della viaggiatrice inglese (una autentica comprensione della cultura e dei costumi dei luoghi) racconta il suo primo film con una protagonista donna, centrato su l’amore. “Un’eroina straordinaria e passionale” secondo Nicole Kidman e James Franco che ringraziano Herzog per averli diretti in una “vera avventura”.
Distante per qualità dai grandi lavori documentaristici o dai primi film Queen of the Desert riesce comunque a mantenere il registro dell’autore che rischiava di smarrirsi in un film in costume. Il desiderio di libertà – anche delle origini – si intravede ancora nella novecentesca autodeterminazione dei popoli, come quando Herzog sulla drammatica attualità del Medioriente immagina di cancellare i confini per fare un grande paese arabo che non assomigli all’incubo dell’Isis.
Non deve stupire, qui a Berlino, la possibilità di ragionare anche di temi difficili. Lontani da Pegida e dall’islamofobia incolta si aprono piani strategici commerciali con l’apertura dell’“Arab Cinema Center” (Undici le società cinematografiche in arrivo dai Paesi arabi) all’interno degli ottocenteschi saloni del Martin-Gropius Bau sede dello European Film Market.
I film di Herzog e Jafar Panahi si accumunano nei luoghi del Medioriente e nella ricerca della libertà, piena anche dell’intimità umana. E’ in “Taxi”- film accolto con ovazioni al termine della proiezione – che l’autore iraniano osserva dal chiuso di un veicolo pubblico, le aperture immaginate e libere nella visione dei contrasti del suo Paese. Gli ultimi film This is not a film (2012) e Closed Curtain (2013 – premiato proprio a Berlino) furono girati in casa propria. Qui l’unico punto di vista – ma solo della macchina da presa- è l’interno di un taxi.
Il regista confinato in Iran, e quindi assente al festival, racconta un viaggio di cui lui è protagonista- tramite il suo diventare veicolo di libertà priva di retorica- che di fatto è denuncia di sofferenza umana, professionale, personale e assieme di numerosi artisti iraniani.
https://www.berlinale.de/en/programm/berlinale_programm/datenblatt.php?film_id=201510428#tab=video25
https://www.berlinale.de/en/programm/berlinale_programm/datenblatt.php?film_id=201511112#tab=filmStills
Dal nostro inviato a Berlino, Marco Guarella
Speciale Berlinale. Il grande Herzog e l’ovazione per “Taxi” di Panahi
Nel secondo giorno della Berlinale in concorso ci sono delle headlists: il grande Herzog con “Queen of the Desert” e “Taxi” de l’iraniano Jafar Panahi. Queen of the Desert si ispira alla biografia di Gertrude Bell, nobildonna e intellettuale inglese, vissuta tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900. Infatuata del mondo arabo, sceglierà di essere seppellita a Baghdad. Nella conferenza stampa affollata all’inverosimile, Il settantaduenne regista tedesco, magnificando i diari della viaggiatrice inglese (una autentica comprensione della cultura e dei costumi dei luoghi) racconta il suo primo film con una protagonista donna, centrato su l’amore. “Un’eroina straordinaria e passionale” secondo Nicole Kidman e James Franco che ringraziano Herzog per averli diretti in una “vera avventura”.
Distante per qualità dai grandi lavori documentaristici o dai primi film Queen of the Desert riesce comunque a mantenere il registro dell’autore che rischiava di smarrirsi in un film in costume. Il desiderio di libertà – anche delle origini – si intravede ancora nella novecentesca autodeterminazione dei popoli, come quando Herzog sulla drammatica attualità del Medioriente immagina di cancellare i confini per fare un grande paese arabo che non assomigli all’incubo dell’Isis.
Non deve stupire, qui a Berlino, la possibilità di ragionare anche di temi difficili. Lontani da Pegida e dall’islamofobia incolta si aprono piani strategici commerciali con l’apertura dell’“Arab Cinema Center” (Undici le società cinematografiche in arrivo dai Paesi arabi) all’interno degli ottocenteschi saloni del Martin-Gropius Bau sede dello European Film Market.
I film di Herzog e Jafar Panahi si accumunano nei luoghi del Medioriente e nella ricerca della libertà, piena anche dell’intimità umana. E’ in “Taxi”- film accolto con ovazioni al termine della proiezione – che l’autore iraniano osserva dal chiuso di un veicolo pubblico, le aperture immaginate e libere nella visione dei contrasti del suo Paese. Gli ultimi film This is not a film (2012) e Closed Curtain (2013 – premiato proprio a Berlino) furono girati in casa propria. Qui l’unico punto di vista – ma solo della macchina da presa- è l’interno di un taxi.
Il regista confinato in Iran, e quindi assente al festival, racconta un viaggio di cui lui è protagonista- tramite il suo diventare veicolo di libertà priva di retorica- che di fatto è denuncia di sofferenza umana, professionale, personale e assieme di numerosi artisti iraniani.
https://www.berlinale.de/en/programm/berlinale_programm/datenblatt.php?film_id=201510428#tab=video25
https://www.berlinale.de/en/programm/berlinale_programm/datenblatt.php?film_id=201511112#tab=filmStills
Dal nostro inviato a Berlino, Marco Guarella
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