I nomadi non vogliono case. Chiedono solo di non essere buttati fuori dalle loro baracche, con le ruspe, gli elicotteri e le camionette dei carabinieri, alle 5 del mattino, come è già accaduto due volte in città, negli ultimi tre anni. E' quanto affermano alcune associazioni del privato sociale impegnate nei progetti d'integrazione
Abitiamo su mondi lontanissimi. Non ci interessa quindi rispondere alle provocazioni del signor Petrone. Ci limitiamo a raccomandargli di non mangiare troppe chiacchiere per carnevale. E che si preoccupi soprattutto dei danni arrecati alla nostra terra dal gruppo dirigente di cui fa parte! Ci sono però delle cose che i cosentini devono assolutamente sapere. Anzitutto, i rom del fiume non hanno alcun rapporto con le famiglie di ex nomadi, immigrate in città durante tutto il Novecento. Se alcuni dei rom del passato sono entrati nel mondo della criminalità, le responsabilità vanno ricercate in alto e nella mancanza di interventi sociali mirati.
Alla fine degli anni Novanta, noi associazioni cosentine, attive oggi nel campo rom sul fiume, non abbiamo condiviso le modalità con cui è stato realizzato il villaggio alle spalle dello stadio San Vito. All’epoca attaccammo l’amministrazione comunale, chiedendole di rendere partecipe il Comitato Lave Romanò. Il Comune invece fece di testa sua, coprendosi dietro sigle e personaggi che da sempre lucrano sui rom. Sono gli stessi personaggi che adesso attaccano l’esperienza della Scuola del Vento.
Sia chiaro per tutti: noi non abbiamo preso un centesimo dalle istituzioni. Non si ottiene “visibilità” – ma a volte solo tanta antipatia – stando dalla parte degli zingari. Svolgiamo tali attività perché questo è il nostro modo di fare politica e di costruire un’Altra Calabria. E siamo gli stessi che due anni fa hanno occupato le case nel centro storico, insieme alle famiglie di cosentini senza-casa. Siamo gli stessi che da anni lottiamo contro la precarietà, per gli spazi sociali, per la difesa dell’ambiente, contro il razzismo, e per i beni comuni. Oltre a cercare di garantire a loro il rispetto di diritti come la salute e l’istruzione, di cui godono anzitutto in quanto persone – e poi perché sono europei comunitari – abbiamo fortemente insistito sulle famiglie rom affinché consentissero la frequenza dei loro bambini nelle scuole cosentine.
In taluni casi ci siamo riusciti, grazie alla serietà e professionalità degli insegnanti in servizio, presso le scuole di via Popilia e dello Spirito Santo. Tuttavia, molti sono i ragazzi che evadono l’obbligo di frequenza delle lezioni. Le attività della Scuola del Vento si svolgono dopo le 17, in forma libera e creativa, come un doposcuola, lontano dall’orario scolastico normale. Non è né il primo né l’ultimo servizio didattico aperto nei quartieri della città. Come mai dà tanto fastidio? Il nostro intervento nel campo rom non ha potuto contribuire “ad alimentare la dimensione di ghetto”.
Perché il ghetto c’era già! Durante la recente mobilitazione, i rom hanno preso la parola in televisione, all’Università, nelle pubbliche manifestazioni, dovunque! Era mai accaduto prima? Noi abbiamo solo messo in piedi un modello di accoglienza dal basso, tipico di una città dalle tradizioni civili, autonome e democratiche come Cosenza. Il Comune, la Provincia e la Regione, invece, cosa hanno fatto?
La presenza di automobili, telefonini ed antenne satellitari nel villaggio rom non deve ingannare e alimentare pregiudizi. Le condizioni in cui vivono questi nomadi sono quelle che storicamente caratterizzano le comunità gitane e che hanno caratterizzato inizialmente la maggior parte degli insediamenti di migranti italiani all’estero.
I rom non vogliono case. Chiedono solo di non essere buttati fuori dalle loro baracche, con le ruspe, gli elicotteri e le camionette dei carabinieri, alle 5 del mattino, come è già accaduto due volte in questa città negli ultimi tre anni. Una soluzione prospettata da molti di loro potrebbe consistere nella realizzazione di un’area attrezzata sulla quale autocostruire unità abitative provvisorie con materiali dai costi bassissimi.
Altri sarebbero pure disposti a prendere appartamenti in affitto, ma sono consapevoli che non riuscirebbero a mantenerne i costi. La drammatica situazione odierna del campo rom è una conseguenza del fallimento della politica adottata dalle istituzioni, nel 2007, quando i rom vennero sgomberati per la prima volta. Furono trasferiti nella Stella Cometa in via Popilia. Comune e Provincia li scaricarono lì, forse in attesa di un miracolo che però non avvenne. Dopo qualche settimana i rom ritornarono sul fiume e ricostruirono le baracche. Le poche famiglie che erano state collocate in appartamenti, li lasciarono presto, perché impossibilitate a sostenere i costi dell’affitto o perché incompatibili con le popolazioni locali. Infine, una precisazione: i nostri concittadini – e non i rom – hanno depositato rifiuti di ogni genere in quell’area.
I fenomeni di degrado ed accattonaggio sono sì presenti nel campo sul fiume, ma riguardano una percentuale minima degli abitanti del villaggio. Al momento attuale, in quel pezzo di terra umida vivono circa 400 persone!
Fora
La Scuola del Vento
Rom, i cosentini devono sapere…
I nomadi non vogliono case. Chiedono solo di non essere buttati fuori dalle loro baracche, con le ruspe, gli elicotteri e le camionette dei carabinieri, alle 5 del mattino, come è già accaduto due volte in città, negli ultimi tre anni. E' quanto affermano alcune associazioni del privato sociale impegnate nei progetti d'integrazione
Abitiamo su mondi lontanissimi. Non ci interessa quindi rispondere alle provocazioni del signor Petrone. Ci limitiamo a raccomandargli di non mangiare troppe chiacchiere per carnevale. E che si preoccupi soprattutto dei danni arrecati alla nostra terra dal gruppo dirigente di cui fa parte! Ci sono però delle cose che i cosentini devono assolutamente sapere. Anzitutto, i rom del fiume non hanno alcun rapporto con le famiglie di ex nomadi, immigrate in città durante tutto il Novecento. Se alcuni dei rom del passato sono entrati nel mondo della criminalità, le responsabilità vanno ricercate in alto e nella mancanza di interventi sociali mirati.
Alla fine degli anni Novanta, noi associazioni cosentine, attive oggi nel campo rom sul fiume, non abbiamo condiviso le modalità con cui è stato realizzato il villaggio alle spalle dello stadio San Vito. All’epoca attaccammo l’amministrazione comunale, chiedendole di rendere partecipe il Comitato Lave Romanò. Il Comune invece fece di testa sua, coprendosi dietro sigle e personaggi che da sempre lucrano sui rom. Sono gli stessi personaggi che adesso attaccano l’esperienza della Scuola del Vento.
Sia chiaro per tutti: noi non abbiamo preso un centesimo dalle istituzioni. Non si ottiene “visibilità” – ma a volte solo tanta antipatia – stando dalla parte degli zingari. Svolgiamo tali attività perché questo è il nostro modo di fare politica e di costruire un’Altra Calabria. E siamo gli stessi che due anni fa hanno occupato le case nel centro storico, insieme alle famiglie di cosentini senza-casa. Siamo gli stessi che da anni lottiamo contro la precarietà, per gli spazi sociali, per la difesa dell’ambiente, contro il razzismo, e per i beni comuni. Oltre a cercare di garantire a loro il rispetto di diritti come la salute e l’istruzione, di cui godono anzitutto in quanto persone – e poi perché sono europei comunitari – abbiamo fortemente insistito sulle famiglie rom affinché consentissero la frequenza dei loro bambini nelle scuole cosentine.
In taluni casi ci siamo riusciti, grazie alla serietà e professionalità degli insegnanti in servizio, presso le scuole di via Popilia e dello Spirito Santo. Tuttavia, molti sono i ragazzi che evadono l’obbligo di frequenza delle lezioni. Le attività della Scuola del Vento si svolgono dopo le 17, in forma libera e creativa, come un doposcuola, lontano dall’orario scolastico normale. Non è né il primo né l’ultimo servizio didattico aperto nei quartieri della città. Come mai dà tanto fastidio? Il nostro intervento nel campo rom non ha potuto contribuire “ad alimentare la dimensione di ghetto”.
Perché il ghetto c’era già! Durante la recente mobilitazione, i rom hanno preso la parola in televisione, all’Università, nelle pubbliche manifestazioni, dovunque! Era mai accaduto prima? Noi abbiamo solo messo in piedi un modello di accoglienza dal basso, tipico di una città dalle tradizioni civili, autonome e democratiche come Cosenza. Il Comune, la Provincia e la Regione, invece, cosa hanno fatto?
La presenza di automobili, telefonini ed antenne satellitari nel villaggio rom non deve ingannare e alimentare pregiudizi. Le condizioni in cui vivono questi nomadi sono quelle che storicamente caratterizzano le comunità gitane e che hanno caratterizzato inizialmente la maggior parte degli insediamenti di migranti italiani all’estero.
I rom non vogliono case. Chiedono solo di non essere buttati fuori dalle loro baracche, con le ruspe, gli elicotteri e le camionette dei carabinieri, alle 5 del mattino, come è già accaduto due volte in questa città negli ultimi tre anni. Una soluzione prospettata da molti di loro potrebbe consistere nella realizzazione di un’area attrezzata sulla quale autocostruire unità abitative provvisorie con materiali dai costi bassissimi.
Altri sarebbero pure disposti a prendere appartamenti in affitto, ma sono consapevoli che non riuscirebbero a mantenerne i costi. La drammatica situazione odierna del campo rom è una conseguenza del fallimento della politica adottata dalle istituzioni, nel 2007, quando i rom vennero sgomberati per la prima volta. Furono trasferiti nella Stella Cometa in via Popilia. Comune e Provincia li scaricarono lì, forse in attesa di un miracolo che però non avvenne. Dopo qualche settimana i rom ritornarono sul fiume e ricostruirono le baracche. Le poche famiglie che erano state collocate in appartamenti, li lasciarono presto, perché impossibilitate a sostenere i costi dell’affitto o perché incompatibili con le popolazioni locali. Infine, una precisazione: i nostri concittadini – e non i rom – hanno depositato rifiuti di ogni genere in quell’area.
I fenomeni di degrado ed accattonaggio sono sì presenti nel campo sul fiume, ma riguardano una percentuale minima degli abitanti del villaggio. Al momento attuale, in quel pezzo di terra umida vivono circa 400 persone!
Fora
La Scuola del Vento
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