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Massimo, siamo sempre tutti lì. Comunque vada

Massimo, siamo sempre tutti lì. Comunque vada

SONO PASSATI quasi 23 anni da quando sei andato via, ma sto qua davanti alla tua lapide e sembra ieri. I segni massimoindelebili smuovono ricordi nitidi come fotografie. Mariano che mi sveglia e racconta quasi sconvolto che hai avuto un brutto incidente nella notte. Il gelo improvviso in una caldissima mattinata romana. La corsa per prendere il primo autobus di Foderaro in partenza, preda di incredulità e dolore. Le lacrime che scavano inarrestabili uno dei viaggi verso casa più lunghi e ammutoliti della mia vita. Il respiro strozzato tra le pareti marmoree del Conventino gremito come il Ceravolo quando aspettava il Magico. Il silenzio tombale che avvolge San Leonardo per giorni e giorni. La morsa che mi afferra il cuore ogni volta che guardo l’angolo a gomito sotto l’orologio dei Giardini, dove ti piaceva stare quando batteva il sole.

Massimo Capraro è scomparso nel cuore di una notte di mezza estate, tra il 4 e il 5 luglio 1994. Se l’è portato via un incidente stradale dalla dinamica mai fin troppo chiara, nei pressi del raccordo autostradale che collega l’A3 alla famigerata statale 280, la “strada dei due mari”. Massimo aveva appena 27 anni. Un cuore grande così, nobile e sincero. Un sorriso armato per sdrammatizzare e caricare di serenità. Massimo era un ragazzo del sud con tanti sogni e l’ambizione di vivere una vita tranquilla, come tanti, ma in città era soprattutto un Ultras, nato e cresciuto sul saliscendi dei Tre colli. Si era fatto le ossa vivendo in prima linea gli anni aurei della seria A e per la mia generazione era uno dei fondatori, mente evoluta e anima di spicco del principale gruppo organizzato della vecchia curva ovest, dotato di personalità mite e improntata su una base di radicata lealtà. Uno che sapeva ascoltare. Uno che amava mettere equilibrio e ragione in tutte le discussioni che animavano le sue giornate. Che si parlasse di faccende curvaiole, politica, ideali, problemi sociali, aspirazioni, certezze o roba privata era uguale. Massimo ragionava su tutto e con tutti, specie quando si trattava di spingere il dialogo tra le fazioni più toste e intransigenti della sconfinata (ed emotivamente variegata) tifoseria giallorossa. Era rispettato e ben visto, Massimo, per quelle virtù messe tutte assieme dietro a un sorriso unico. E quando gli Uc avevano un direttivo e ogni decisione passava attraverso ore di infuocate riunioni, la sua era sempre l’ultima parola, la più convincente, quella che accoglieva il favore collettivo. Credeva in una curva unita dietro allo striscione Ultras, concetto per il quale si era speso a lungo insieme ad altri ragazzi attivi negli anni ‘80 e buona parte dei ’90, contribuendo in modo massiccio al consolidamento degli Ultras United 1973. E sognava un Catanzaro accasato stabilmente in serie B. Lo definiva “il nostro campionato ideale”, magari con l’aggiunta di qualche promozione in A qua e là ma da inseguire senza eccessivo stress, perché “il Catanzaro – ripeteva – va seguito sempre e comunque,  e gli Ultras devono stare sempre al suo fianco, comunque vada”. Per innata indolenza Massimo faceva poche trasferte ma a nessuno passava per la testa di menargliela per le sue assenze, anzi, quando Massimo partecipava era un valore aggiunto che esaltava la “gita”.

Avellino 88/89

Avellino 88/89

Come ad Avellino, annata 88/89: il pullman di Gullì preso per l’occasione (all’epoca gettonatissima autolinea) che si rompe appena imboccata la galleria del Sansinato, trasferimento volante su un bus ancora più scalcinato e pomeriggio passato a cantare e ballare sugli spalti del Partenio senza nemmeno guardare la partita. O quella volta in direzione Perugia, su e giù sul treno a scansare controllori e poi incrociare i romanisti alla stazione Termini. Mai banale, quando c’era lui. E quando non c’era, poteva capitare che i ragazzi lo tirassero giù dal letto alle 8 di domenica perché la colletta non era sufficiente e per partire serviva un piccolo contributo che consegnava sulla porta di casa fingendo di essere incazzato. A volte tirato fuori a stento dalla mitica cassa comune del gruppo che in quegli anni piangeva miseria, altre volte di tasca sua.

img_1411Ora sto qua davanti, ma non piango. Da quasi 23 anni vengo a trovarti per assorbire ancora un po’ della tua spontanea serenità. Mi siedo, accendo una sigaretta e me ne sto a spazzar pensieri per mezzora in questo piccolo cimitero appeso sul mare. Vengo a parlare senza parole col fratello maggiore che diventavi quando ti raccontavo i miei guai. Non c’è più niente di giallorosso qua, ma forse è giusto così. Se la gente accoglie l’appello degli Ultras, sabato prossimo il Ceravolo sarà giallorosso solo per te. Com’è giusto che sia. Sarà difficile perché sono tempi duri per le Aquile, ma tant’è. Non sai cosa ti sei perso in tutti questi anni, Massime’, o forse sì. Ma sono certo che se ci guardi la prenderai con il tuo solito sorriso, l’aria rassicurante, le mani in tasca e un pizzico di speranza nel futuro. La Ovest, gli Ultras e il Catanzaro sono lì, sempre lì, dove li hai lasciati. Tu vivi fra di noi. Comunque vada.

Ivan Montesano

 


  1. Massimo Vitiello

    L’ho letto con il fiato rotto e qualche lacrima che solca il mio viso , grazie per quello che scrivi .
    Manteniamo sempre vivo l’amico Massimo

    28 Luglio

  2. Bruno

    Bravo Ivan! Ben detto. Bruno M

    16 Dicembre

    • ivan montesano

      Grazie Bruno… Massimo docet.

      16 Dicembre

  3. Pino

    Complimenti il più bel pezzo letto su Massimo Capraro.

    15 Dicembre

    • ivan montesano

      Grande Pino, grazie!

      16 Dicembre

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