La rivoluzione dell’etere ad Haiti fa riflettere sul ruolo della radio come strumento per dare voce a chi non ha voce, lo strumento popolare per eccellenza. Una delle poche agorà disponibili per una popolazione che, geograficamente e socialmente, fatica a trovare un terreno comune. La radio ha svolto un ruolo fondamentale negli eventi politici.
Se sentivi Mozart non era mai un buon segno. Fin dalla sua apparizione ad Haiti, nel 1948, la radio ha svolto un ruolo fondamentale negli eventi politici. Durante gli episodi più sanguinosi della dittatura, i colpi di stato erano immancabilmente accompagnati da musica classica.
La rivoluzione dell’etere ad Haiti fa riflettere sul ruolo della radio come strumento per dare voce a chi non ha voce, lo strumento popolare per eccellenza. Una delle poche agorà disponibili per una popolazione che, geograficamente e socialmente, fatica a trovare un terreno comune.
C’è chi racconta che al momento del sisma del 2010, non avendo accesso alle immagini del disastro, se non fosse stato per la modulazione di frequenza, gli haitiani avrebbero avuto meno informazioni degli occidentali. Ed è così che nel Paese dove i soldi mancano quasi a tutti, dove la democrazia è un optional, dove l’elettricità è lesinata e la tv è un lusso, figurarsi internet, e l’analfabetismo è endemico, la radio rappresenta un ponte verso la comunicazione, l’informazione, la cultura, i diritti. La radio diventa un ponte verso la capitale, Porta u Prince, che altrimenti sembrerebbe agli antipodi, ed “è grazie alla radio che gli haitiani di campagna hanno la sensazione di appartenere al mondo”. Non è raro, dopo ore di viaggio, che tra le montagne intorno a Les Cayes, ci si imbatta in un ragazzino che sappia la formazione completa del Milan.
E’ difficile conoscere il numero esatto delle stazioni radio che trasmettono da Les Cayes, oltre duecento – tra pirata e autorizzate – per sei ore di elettricità al giorno, chiusi in una stanza minuscola, con le pareti grigie a rincorrere la magia delle parole e della musica che plasmano le emozioni.
La radio è un’attività imprenditoriale accessibile: ogni congregazione, ogni rituale animista, ogni politico o aspirante tale si promuove in diretta radiofonica. Bastano duemila dollari per comprare trasmettitore, microfono, mixer, tanto che ogni piccola associazione o gruppo in genere apre una sua radio. Il giro d’affari delle radio, in questa come in tutte le città di provincia, è minuscolo: poca pubblicità, giusto operatori di telefonia mobile nazionali o di bibite. Un conduttore guadagna circa 50 dollari al mese e spesso per fare il proprio programma e affitta personalmente le ore di spazio radiofonico dai proprietari dell’antenna. Ma la magia dell’etere vuole che nel Paese dove chiunque deve lottare per il proprio spazio vitale, l’accavallamento delle stazioni a banda larga apre alla speranza della stagione dei diritti. E se ad Haiti è possibile, perché la radio non può diventare uno strumento di partecipazione e dare voce agli ultimi, agli indifesi, ai deboli, alle vittime delle ingiustizie, a chi crede del merito, nei diritti, nella cultura, nell’amicizia, nell’amore, nella lealtà, nell’onestà, a chi ha il culto della memoria, chi resta oggi e sempre antifascista, chi crede nelle parole e non nelle spranghe anche da queste parti? Good morning Haiti, good morning Catanzaro.
Good morning Catanzaro
La rivoluzione dell’etere ad Haiti fa riflettere sul ruolo della radio come strumento per dare voce a chi non ha voce, lo strumento popolare per eccellenza. Una delle poche agorà disponibili per una popolazione che, geograficamente e socialmente, fatica a trovare un terreno comune. La radio ha svolto un ruolo fondamentale negli eventi politici.
Se sentivi Mozart non era mai un buon segno. Fin dalla sua apparizione ad Haiti, nel 1948, la radio ha svolto un ruolo fondamentale negli eventi politici. Durante gli episodi più sanguinosi della dittatura, i colpi di stato erano immancabilmente accompagnati da musica classica.
La rivoluzione dell’etere ad Haiti fa riflettere sul ruolo della radio come strumento per dare voce a chi non ha voce, lo strumento popolare per eccellenza. Una delle poche agorà disponibili per una popolazione che, geograficamente e socialmente, fatica a trovare un terreno comune.
C’è chi racconta che al momento del sisma del 2010, non avendo accesso alle immagini del disastro, se non fosse stato per la modulazione di frequenza, gli haitiani avrebbero avuto meno informazioni degli occidentali. Ed è così che nel Paese dove i soldi mancano quasi a tutti, dove la democrazia è un optional, dove l’elettricità è lesinata e la tv è un lusso, figurarsi internet, e l’analfabetismo è endemico, la radio rappresenta un ponte verso la comunicazione, l’informazione, la cultura, i diritti. La radio diventa un ponte verso la capitale, Porta u Prince, che altrimenti sembrerebbe agli antipodi, ed “è grazie alla radio che gli haitiani di campagna hanno la sensazione di appartenere al mondo”. Non è raro, dopo ore di viaggio, che tra le montagne intorno a Les Cayes, ci si imbatta in un ragazzino che sappia la formazione completa del Milan.
E’ difficile conoscere il numero esatto delle stazioni radio che trasmettono da Les Cayes, oltre duecento – tra pirata e autorizzate – per sei ore di elettricità al giorno, chiusi in una stanza minuscola, con le pareti grigie a rincorrere la magia delle parole e della musica che plasmano le emozioni.
La radio è un’attività imprenditoriale accessibile: ogni congregazione, ogni rituale animista, ogni politico o aspirante tale si promuove in diretta radiofonica. Bastano duemila dollari per comprare trasmettitore, microfono, mixer, tanto che ogni piccola associazione o gruppo in genere apre una sua radio. Il giro d’affari delle radio, in questa come in tutte le città di provincia, è minuscolo: poca pubblicità, giusto operatori di telefonia mobile nazionali o di bibite. Un conduttore guadagna circa 50 dollari al mese e spesso per fare il proprio programma e affitta personalmente le ore di spazio radiofonico dai proprietari dell’antenna. Ma la magia dell’etere vuole che nel Paese dove chiunque deve lottare per il proprio spazio vitale, l’accavallamento delle stazioni a banda larga apre alla speranza della stagione dei diritti. E se ad Haiti è possibile, perché la radio non può diventare uno strumento di partecipazione e dare voce agli ultimi, agli indifesi, ai deboli, alle vittime delle ingiustizie, a chi crede del merito, nei diritti, nella cultura, nell’amicizia, nell’amore, nella lealtà, nell’onestà, a chi ha il culto della memoria, chi resta oggi e sempre antifascista, chi crede nelle parole e non nelle spranghe anche da queste parti? Good morning Haiti, good morning Catanzaro.
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