CASTROVILLARI (Cs) – Dopo 22 anni la procura riapre il caso Bergamini, morto il 18 novembre 1989, in circostanze misteriose. Secondo la sentenza, il calciatore si sarebbe suicidato lanciandosi sotto le ruote di un camion, a Roseto Capo Spulico, sulla statale jonica. Una conclusione che non hai mai convinto nessuno. Dal 29 giugno la speranza di giustizia si fa più concreta
Denis non tornerà più, questo è chiaro. Ma la riapertura dell’inchiesta ripaga la famiglia Bergamini di tante amarezze. Dal 29 giugno “Verità e giustizia per Denis Bergamini” non è più un grido soffocato in gola. Ma una speranza che si fa concreta.
Dopo 22 anni la procura di Castrovillari ha riaperto il caso. È un’altra simbolica vittoria del web 2.0. Nessun tribunale se ne sarebbe più occupato, se un paio d’anni fa Alessandro Piersigilli non avesse fondato su facebook un gruppo dedicato a questo mistero, se cronisti indipendenti come Gabriele Carchidi, Caterina Veronesi ed Eliseno Sposato non avessero impugnato penna e microfono per scuotere le coscienze; se i ragazzi della curva, molti dei quali non erano neanche nati quando morì Denis, non fossero scesi in piazza per urlare il loro rifiuto dell’omertà. Ed è soprattutto un successo dell’avvocato ferrarese Eugenio Gallerani. Ha sviluppato una scrupolosa controinchiesta che gli ha permesso di depositare in procura un corposo dossier pieno di elementi nuovi, nomi di testimoni mai ascoltati, episodi trascurati. È materiale gravido di segnalazioni sulle sconcertanti zone d’ombra che segnarono il lavoro investigativo svolto dagli inquirenti dopo la morte di Denis. Non è la prima volta che in Italia si riapre un controverso caso giudiziario. Ma è senz’altro rarissimo che a distanza di tanti anni si passi da un’ipotesi di suicidio a un’inchiesta per omicidio.
Sulla scomparsa dell’ex mezzala del Cosenza, morto il 18 novembre 1989, sono sempre stati tanti i dubbi. Nelle aule di giustizia il caso si spense nel 1992. Secondo la sentenza, il calciatore si sarebbe suicidato lanciandosi sotto le ruote di un camion a Roseto Capo Spulico sulla statale Jonica. Il conducente accusato di omicidio colposo, fu assolto. Una conclusione che non ha mai convinto nessuno. Neanche Carlo Petrini, ex calciatore e attuale scrittore che indaga sui traffici oscuri del mondo del pallone, che ha dedicato al caso del talento ferrarese: “Il calciatore suicidato” edito da Kaos. Alla ricostruzione dei giudici la famiglia, e non solo, non ha mai creduto. Per questo, dopo anni di paziente lavoro, era stata depositata il 13 giugno scorso nelle mani del procuratore capo di Castrovillari, Franco Giacomantonio, istanza di riapertura delle indagini. E Il capo della procura del Pollino ha sciolto la riserva proponendo al Gip di resuscitare una vecchia e archiviata indagine a carico di ignoti, avviata dalla questura di Cosenza nel 1994 a seguito dell’insistenza del papà di Denis, Domizio Bergamini. Adesso è fiducioso il legale della famiglia: “Non credo vi sia un unico elemento che abbia convinto la Procura a chiedere la riapertura del caso. In realtà gli elementi su cui si fonda la richiesta sono diversi, anche di diversa natura, e tutti importanti”. Una vicenda giudiziaria, questa di Bergamini, piena di buchi neri, archiviata troppo frettolosamente. A cominciare dalle ore successive alla morte. Infatti quando il padre si precipita in Calabria, giunge sul luogo dell’investimento la mattina dopo ma non nota tracce di un incidente cruento. Donata Bergamini, sorella di Denis, ha più volte ribadito che al momento di riconoscere il corpo del fratello, qualcuno del Cosenza la invitò a non farlo. Nessuno dei familiari partecipò. Tra quelli che, invece, videro il cadavere del calciatore, nessuno ammise che il corpo era praticamente intatto. Non poteva essere stato investito da un camion. Dunque la famiglia Bergamini ottenne solo silenzi proprio dalle persone che avrebbero dovuto collaborare per cercare di pervenire alla verità. Resta da capire se si trattò soltanto di superficialità oppure oggi possiamo finalmente parlare di omissioni, coperture e depistaggi anche all’interno delle istituzioni preposte allo svolgimento delle indagini.
All’epoca dei fatti il medico legale avrebbe rilevato le proprie perplessità sulle cause del decesso. Gli inquirenti però non ebbero dubbi: suicidio. Così sparirono i vestiti indossati da Denis. L’autopsia sarà eseguita solo un mese dopo, quando ormai risulterà più difficile presumere l’orario esatto della morte. Anche le ultime ore di Denis sono avvolte nel mistero.”Il 18 novembre 1989 era sabato- dichiara la sorella Donata- al mattino c’era stato l’allenamento e mio fratello negli spogliatoi aveva caricato la squadra in vista della partita della domenica e tagliato i calzettoni al capitano Castagnini.
Dopo mezzogiorno, i giocatori si ritrovarono in albergo, successivamente andarono nelle loro rispettive stanze e, questa la prima incongruenza della vicenda, Isabella Internò, che allora era l’ex fidanzata di mio fratello (si erano lasciati da sei mesi) disse che lui l’aveva chiamata. Michele Padovano, compagno di stanza di Denis, invece parla di una telefonata ricevuta. Poi, i ragazzi si recarono al cinema Garden. Ad un certo punto Denis si alzò e chiese al massaggiatore dove si trovasse il bagno, circostanza che stupì molto il massaggiatore visto che era da molto tempo che la squadra frequentava quel cinema e Denis sapeva benissimo dove fosse il bagno. Alcuni compagni che erano seduti accanto a lui, videro invece Denis alzarsi e dirigersi verso due persone che lo aspettavano. Da questo momento in poi si perdono le tracce di mio fratello e, quando la squadra si riunì a tavola per la cena, arrivarono due telefonate, una diretta al mister, Gigi Simoni, ed una al giocatore Ciccio Marino da parte dell’ex fidanzata. Al tecnico disse che Denis si era buttato sotto un camion. Isabella raccontò a Simoni che Denis voleva abbandonare il calcio e raggiungere Taranto per imbarcarsi verso una destinazione estera. Della seconda telefonata non si conosce il contenuto preciso, Marino racconta che la ragazza gli aveva confermato il suicidio di Denis. Tengo a precisare che la Internò non fece nessuna telefonata ad un 118 o ad un 112, ma chiamò prima la madre e successivamente il mister e poi il compagno di squadra”.
È sicuro che Denis lasciò un messaggio a una ragazza emiliana con la quale si frequentava. Si erano sentiti poco prima della morte. Successivamente la ragazza testimoniò davanti al magistrato. Denis le avrebbe detto che qualcuno voleva fargli del male. Le fornì anche una motivazione. È prevedibile che questa ragazza sarà sentita nuovamente in procura. Dalle sue rivelazioni potrebbe emergere il movente.
In tutta la vicenda, potrebbe essere stata fuorviante la convinzione che dovesse esserci per forza una matrice malavitosa dietro l’ipotesi di omicidio. In proposito, si mantiene cauto l’avvocato Gallerani: “Non lo so. Quel che è certo è che fin dal primo minuto il caso era stato definito quale suicidio dai Carabinieri. Tale situazione non si modificò neppure dopo, quando accertamenti tecnici avrebbero potuto suggerire una diversa ricostruzione. Non fu svolta una vera e propria attività di indagine.
In buona sostanza si tratta oggi, a distanza di oltre 21 anni, di svolgere quell’attività”.
Claudio Dionesalvi – Silvio Messinetti
Pubblicato su “Il manifesto” domenica 3 luglio 2011
Denis, un calcio alle menzogne!
CASTROVILLARI (Cs) – Dopo 22 anni la procura riapre il caso Bergamini, morto il 18 novembre 1989, in circostanze misteriose. Secondo la sentenza, il calciatore si sarebbe suicidato lanciandosi sotto le ruote di un camion, a Roseto Capo Spulico, sulla statale jonica. Una conclusione che non hai mai convinto nessuno. Dal 29 giugno la speranza di giustizia si fa più concreta
Denis non tornerà più, questo è chiaro. Ma la riapertura dell’inchiesta ripaga la famiglia Bergamini di tante amarezze. Dal 29 giugno “Verità e giustizia per Denis Bergamini” non è più un grido soffocato in gola. Ma una speranza che si fa concreta.
Dopo 22 anni la procura di Castrovillari ha riaperto il caso. È un’altra simbolica vittoria del web 2.0. Nessun tribunale se ne sarebbe più occupato, se un paio d’anni fa Alessandro Piersigilli non avesse fondato su facebook un gruppo dedicato a questo mistero, se cronisti indipendenti come Gabriele Carchidi, Caterina Veronesi ed Eliseno Sposato non avessero impugnato penna e microfono per scuotere le coscienze; se i ragazzi della curva, molti dei quali non erano neanche nati quando morì Denis, non fossero scesi in piazza per urlare il loro rifiuto dell’omertà. Ed è soprattutto un successo dell’avvocato ferrarese Eugenio Gallerani. Ha sviluppato una scrupolosa controinchiesta che gli ha permesso di depositare in procura un corposo dossier pieno di elementi nuovi, nomi di testimoni mai ascoltati, episodi trascurati. È materiale gravido di segnalazioni sulle sconcertanti zone d’ombra che segnarono il lavoro investigativo svolto dagli inquirenti dopo la morte di Denis. Non è la prima volta che in Italia si riapre un controverso caso giudiziario. Ma è senz’altro rarissimo che a distanza di tanti anni si passi da un’ipotesi di suicidio a un’inchiesta per omicidio.
Sulla scomparsa dell’ex mezzala del Cosenza, morto il 18 novembre 1989, sono sempre stati tanti i dubbi. Nelle aule di giustizia il caso si spense nel 1992. Secondo la sentenza, il calciatore si sarebbe suicidato lanciandosi sotto le ruote di un camion a Roseto Capo Spulico sulla statale Jonica. Il conducente accusato di omicidio colposo, fu assolto. Una conclusione che non ha mai convinto nessuno. Neanche Carlo Petrini, ex calciatore e attuale scrittore che indaga sui traffici oscuri del mondo del pallone, che ha dedicato al caso del talento ferrarese: “Il calciatore suicidato” edito da Kaos. Alla ricostruzione dei giudici la famiglia, e non solo, non ha mai creduto. Per questo, dopo anni di paziente lavoro, era stata depositata il 13 giugno scorso nelle mani del procuratore capo di Castrovillari, Franco Giacomantonio, istanza di riapertura delle indagini. E Il capo della procura del Pollino ha sciolto la riserva proponendo al Gip di resuscitare una vecchia e archiviata indagine a carico di ignoti, avviata dalla questura di Cosenza nel 1994 a seguito dell’insistenza del papà di Denis, Domizio Bergamini. Adesso è fiducioso il legale della famiglia: “Non credo vi sia un unico elemento che abbia convinto la Procura a chiedere la riapertura del caso. In realtà gli elementi su cui si fonda la richiesta sono diversi, anche di diversa natura, e tutti importanti”. Una vicenda giudiziaria, questa di Bergamini, piena di buchi neri, archiviata troppo frettolosamente. A cominciare dalle ore successive alla morte. Infatti quando il padre si precipita in Calabria, giunge sul luogo dell’investimento la mattina dopo ma non nota tracce di un incidente cruento. Donata Bergamini, sorella di Denis, ha più volte ribadito che al momento di riconoscere il corpo del fratello, qualcuno del Cosenza la invitò a non farlo. Nessuno dei familiari partecipò. Tra quelli che, invece, videro il cadavere del calciatore, nessuno ammise che il corpo era praticamente intatto. Non poteva essere stato investito da un camion. Dunque la famiglia Bergamini ottenne solo silenzi proprio dalle persone che avrebbero dovuto collaborare per cercare di pervenire alla verità. Resta da capire se si trattò soltanto di superficialità oppure oggi possiamo finalmente parlare di omissioni, coperture e depistaggi anche all’interno delle istituzioni preposte allo svolgimento delle indagini.
All’epoca dei fatti il medico legale avrebbe rilevato le proprie perplessità sulle cause del decesso. Gli inquirenti però non ebbero dubbi: suicidio. Così sparirono i vestiti indossati da Denis. L’autopsia sarà eseguita solo un mese dopo, quando ormai risulterà più difficile presumere l’orario esatto della morte. Anche le ultime ore di Denis sono avvolte nel mistero.”Il 18 novembre 1989 era sabato- dichiara la sorella Donata- al mattino c’era stato l’allenamento e mio fratello negli spogliatoi aveva caricato la squadra in vista della partita della domenica e tagliato i calzettoni al capitano Castagnini.
Dopo mezzogiorno, i giocatori si ritrovarono in albergo, successivamente andarono nelle loro rispettive stanze e, questa la prima incongruenza della vicenda, Isabella Internò, che allora era l’ex fidanzata di mio fratello (si erano lasciati da sei mesi) disse che lui l’aveva chiamata. Michele Padovano, compagno di stanza di Denis, invece parla di una telefonata ricevuta. Poi, i ragazzi si recarono al cinema Garden. Ad un certo punto Denis si alzò e chiese al massaggiatore dove si trovasse il bagno, circostanza che stupì molto il massaggiatore visto che era da molto tempo che la squadra frequentava quel cinema e Denis sapeva benissimo dove fosse il bagno. Alcuni compagni che erano seduti accanto a lui, videro invece Denis alzarsi e dirigersi verso due persone che lo aspettavano. Da questo momento in poi si perdono le tracce di mio fratello e, quando la squadra si riunì a tavola per la cena, arrivarono due telefonate, una diretta al mister, Gigi Simoni, ed una al giocatore Ciccio Marino da parte dell’ex fidanzata. Al tecnico disse che Denis si era buttato sotto un camion. Isabella raccontò a Simoni che Denis voleva abbandonare il calcio e raggiungere Taranto per imbarcarsi verso una destinazione estera. Della seconda telefonata non si conosce il contenuto preciso, Marino racconta che la ragazza gli aveva confermato il suicidio di Denis. Tengo a precisare che la Internò non fece nessuna telefonata ad un 118 o ad un 112, ma chiamò prima la madre e successivamente il mister e poi il compagno di squadra”.
È sicuro che Denis lasciò un messaggio a una ragazza emiliana con la quale si frequentava. Si erano sentiti poco prima della morte. Successivamente la ragazza testimoniò davanti al magistrato. Denis le avrebbe detto che qualcuno voleva fargli del male. Le fornì anche una motivazione. È prevedibile che questa ragazza sarà sentita nuovamente in procura. Dalle sue rivelazioni potrebbe emergere il movente.
In tutta la vicenda, potrebbe essere stata fuorviante la convinzione che dovesse esserci per forza una matrice malavitosa dietro l’ipotesi di omicidio. In proposito, si mantiene cauto l’avvocato Gallerani: “Non lo so. Quel che è certo è che fin dal primo minuto il caso era stato definito quale suicidio dai Carabinieri. Tale situazione non si modificò neppure dopo, quando accertamenti tecnici avrebbero potuto suggerire una diversa ricostruzione. Non fu svolta una vera e propria attività di indagine.
In buona sostanza si tratta oggi, a distanza di oltre 21 anni, di svolgere quell’attività”.
Claudio Dionesalvi – Silvio Messinetti
Pubblicato su “Il manifesto” domenica 3 luglio 2011
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