Ha l’appoggio di autorevoli esponenti del mondo del diritto italiano. E’ sostenuto in modo bipartisan da rappresentanti politico-istituzionali nazionali. Ma, mistero tutto italiano, ha tanti oppositori proprio nelle aule del potere. La sua approvazione spezzerebbe il legame tra politica corrotta e criminalità organizzata
Incide nettamente sul rapporto mafia-politica. Non ha costi per lo Stato. Ha l’appoggio di autorevoli esponenti del mondo del diritto italiano. E’ sostenuto in modo bipartisan da rappresentanti politico-istituzionali nazionali. Ma, mistero tutto italiano, ha tanti oppositori proprio nelle aule del potere, dove si dovrebbe esercitare la sua portata normativa.
Stiamo parlando del Disegno di Legge Lazzati elaborato circa 15 anni fa dal giudice calabrese Romano De Grazia, ex magistrato della Suprema Corte di Cassazione, insieme al professore Mario Alberto Ruffo, docente di diritto penale all’Università Magna Graecia di Catanzaro. Nulla di complicato, anzi, semplice. Come semplice è la lacuna del nostro ordinamento che sanziona il voto di scambio nell’art. 416ter del codice penale solo nella forma voto-denaro, senza considerare che il vero baratto è quello tra il sostegno elettorale da un lato ed il controllo delle istituzioni dall’altro.
In proposito, i dati sono chiari: per il Ministero dell’Interno, dal 1991 al 30 giugno del 2007, i comuni sciolti per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, sono stati 172. Una questione non proprio meridionale, se si pensa che le mafie sono ormai da anni padrone del Nord Italia e lo scioglimento di comuni come Nettuno nel Lazio e Bardonecchia in Piemonte, sono il sintomo di un problema enorme e troppo spesso sottovalutato. La gestione degli appalti ed il controllo della cosa pubblica e dei suoi apparati fa gola ovunque alla criminalità organizzata.
In questa realtà il Ddl Lazzati andrebbe ad introdurre nel quadro normativo nazionale tre articoli, i cui effetti sono dirompenti sul sistema del malaffare, superando il provvedimento generale ed iniquo dello scioglimento ed accertando singole e precise responsabilità. Nell’articolo 1, si prevede che “alle persone indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni comunque localmente denominate che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso, sottoposte alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, è fatto divieto di svolgere propaganda elettorale in favore o in pregiudizio di candidati e simboli, con qualsiasi mezzo direttamente o indirettamente”.
In sostanza, ai soggetti ritenuti sorvegliati speciali a seguito di giudizio di pericolosità sociale, che già attualmente per la legge sono privi di diritto di voto attivo e passivo, viene fatto anche divieto di svolgere attività per la raccolta del consenso. Tale attività, per fugare ogni dubbio, è composta, sempre nella previsione dell’articolo 1, da “una molteplicità di atti, coinvolgimento di più persone, impiego di mezzi economici e predisposizione all’uopo di una sia pur minima struttura organizzativa”.
I restanti due articoli prevedono, per il sorvegliato che svolge tale attività e per il candidato di pochi scrupoli che richiede o in qualche modo sollecita l’illecito aiuto, la reclusione da 1 a 6 anni. Inoltre, con la sentenza di condanna passata in giudicato, il Tribunale dichiara il candidato ineleggibile per un tempo non inferiore a cinque anni e non superiore a dieci e, se eletto, l’organo di appartenenza ne dichiara la decadenza. Uno strumento duro ed efficace, adeguato e rigoroso che spezza il perverso legame di reciproco ausilio ed interesse, tra politica corrotta e criminalità organizzata.
Forse, proprio questi sono i motivi che ostacolano la conversione in legge del Lazzati nonostante venga presentato all’esame del Parlamento da ben 15 anni consecutivi.
Discusso, ridiscusso, sostenuto sulla stampa da importanti cariche politiche ed istituzionali, ma poi sempre bloccato nei momenti decisivi e nei luoghi deputati. Anche in questa legislatura il Lazzati è arrivato in Parlamento sorretto da due onorevoli calabresi, Angela Napoli e Doris Lo Moro, donne impegnate per anni da differenti posizioni politiche nella lotta, senza colore, contro le mafie.
L’esame della Camera dei Deputati ha dato parere positivo. Ora, si aspetta il voto del Senato. Tutto, ed è la speranza dell’ideatore del Lazzati, da realizzare prima delle prossime elezioni regionali. Una scadenza fondamentale, un punto di non ritorno per l’Italia, per il Sud ed in particolare per la Calabria, che si troverà a gestire e dovrà, questa volta, ben spendere e programmare l’ultimo grande flusso miliardario di fondi provenienti dall’Europa. Da queste competizioni, è chiaro, passa il futuro di un territorio, di tante famiglie e giovani. E’ il Disegno di legge Lazzati lo strumento legislativo che può fare, a questo punto, l’interesse di tutti e la differenza per generazioni. La legge giusta che, però, qualcuno non vuole.
Ddl Lazzati, la legge giusta che qualcuno non vuole!
Ha l’appoggio di autorevoli esponenti del mondo del diritto italiano. E’ sostenuto in modo bipartisan da rappresentanti politico-istituzionali nazionali. Ma, mistero tutto italiano, ha tanti oppositori proprio nelle aule del potere. La sua approvazione spezzerebbe il legame tra politica corrotta e criminalità organizzata
Incide nettamente sul rapporto mafia-politica. Non ha costi per lo Stato. Ha l’appoggio di autorevoli esponenti del mondo del diritto italiano. E’ sostenuto in modo bipartisan da rappresentanti politico-istituzionali nazionali. Ma, mistero tutto italiano, ha tanti oppositori proprio nelle aule del potere, dove si dovrebbe esercitare la sua portata normativa.
Stiamo parlando del Disegno di Legge Lazzati elaborato circa 15 anni fa dal giudice calabrese Romano De Grazia, ex magistrato della Suprema Corte di Cassazione, insieme al professore Mario Alberto Ruffo, docente di diritto penale all’Università Magna Graecia di Catanzaro. Nulla di complicato, anzi, semplice. Come semplice è la lacuna del nostro ordinamento che sanziona il voto di scambio nell’art. 416ter del codice penale solo nella forma voto-denaro, senza considerare che il vero baratto è quello tra il sostegno elettorale da un lato ed il controllo delle istituzioni dall’altro.
In proposito, i dati sono chiari: per il Ministero dell’Interno, dal 1991 al 30 giugno del 2007, i comuni sciolti per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, sono stati 172. Una questione non proprio meridionale, se si pensa che le mafie sono ormai da anni padrone del Nord Italia e lo scioglimento di comuni come Nettuno nel Lazio e Bardonecchia in Piemonte, sono il sintomo di un problema enorme e troppo spesso sottovalutato. La gestione degli appalti ed il controllo della cosa pubblica e dei suoi apparati fa gola ovunque alla criminalità organizzata.
In questa realtà il Ddl Lazzati andrebbe ad introdurre nel quadro normativo nazionale tre articoli, i cui effetti sono dirompenti sul sistema del malaffare, superando il provvedimento generale ed iniquo dello scioglimento ed accertando singole e precise responsabilità. Nell’articolo 1, si prevede che “alle persone indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni comunque localmente denominate che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso, sottoposte alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, è fatto divieto di svolgere propaganda elettorale in favore o in pregiudizio di candidati e simboli, con qualsiasi mezzo direttamente o indirettamente”.
In sostanza, ai soggetti ritenuti sorvegliati speciali a seguito di giudizio di pericolosità sociale, che già attualmente per la legge sono privi di diritto di voto attivo e passivo, viene fatto anche divieto di svolgere attività per la raccolta del consenso. Tale attività, per fugare ogni dubbio, è composta, sempre nella previsione dell’articolo 1, da “una molteplicità di atti, coinvolgimento di più persone, impiego di mezzi economici e predisposizione all’uopo di una sia pur minima struttura organizzativa”.
I restanti due articoli prevedono, per il sorvegliato che svolge tale attività e per il candidato di pochi scrupoli che richiede o in qualche modo sollecita l’illecito aiuto, la reclusione da 1 a 6 anni. Inoltre, con la sentenza di condanna passata in giudicato, il Tribunale dichiara il candidato ineleggibile per un tempo non inferiore a cinque anni e non superiore a dieci e, se eletto, l’organo di appartenenza ne dichiara la decadenza. Uno strumento duro ed efficace, adeguato e rigoroso che spezza il perverso legame di reciproco ausilio ed interesse, tra politica corrotta e criminalità organizzata.
Forse, proprio questi sono i motivi che ostacolano la conversione in legge del Lazzati nonostante venga presentato all’esame del Parlamento da ben 15 anni consecutivi.
Discusso, ridiscusso, sostenuto sulla stampa da importanti cariche politiche ed istituzionali, ma poi sempre bloccato nei momenti decisivi e nei luoghi deputati. Anche in questa legislatura il Lazzati è arrivato in Parlamento sorretto da due onorevoli calabresi, Angela Napoli e Doris Lo Moro, donne impegnate per anni da differenti posizioni politiche nella lotta, senza colore, contro le mafie.
L’esame della Camera dei Deputati ha dato parere positivo. Ora, si aspetta il voto del Senato. Tutto, ed è la speranza dell’ideatore del Lazzati, da realizzare prima delle prossime elezioni regionali. Una scadenza fondamentale, un punto di non ritorno per l’Italia, per il Sud ed in particolare per la Calabria, che si troverà a gestire e dovrà, questa volta, ben spendere e programmare l’ultimo grande flusso miliardario di fondi provenienti dall’Europa. Da queste competizioni, è chiaro, passa il futuro di un territorio, di tante famiglie e giovani. E’ il Disegno di legge Lazzati lo strumento legislativo che può fare, a questo punto, l’interesse di tutti e la differenza per generazioni. La legge giusta che, però, qualcuno non vuole.
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