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Cerzeto new town Calabria

Cerzeto new town Calabria

Di Cavallerizzo ormai nessuno parla più. Una frana disastrosa cinque fa. Che però mantenne intatto il suo centro storico. E, poi, una gestione disinvolta della ricostruzione. Si è scelta la delocalizzazione in luogo del pieno recupero del vecchio abitato. Sotto certi aspetti, la vicenda di questo borgo arbreshe è ancor più grave del caso aquilano

In principio fu Cavallerizzo di Cerzeto. Non c’è solo L’Aquila, infatti, nei progetti di new town che la ditta Berlusconi & Bertolaso vuole disseminare su è giù per lo Stivale. Anzi, sotto certi aspetti, la vicenda di questo borgo arbreshe del cosentino è ancor più grave del caso aquilano. Perché di Cavallerizzo ormai nessuno parla più. Tranne il manifesto e pochi altri, il resto dei media ha steso il velo della censura su una storia che è la più eloquente narrazione del degrado istituzionale e dello sfascio ambientale di un’intera regione.

Una frana disastrosa e spettacolare cinque anni orsono. Che però mantenne intatto il centro storico di Cavallerizzo. E, poi, una gestione disinvolta della ricostruzione. Si è scelta la delocalizzazione in luogo del pieno recupero del vecchio abitato. Non la rinaturalizzazione, la preservazione e la riqualificazione ambientale delle antiche case ma un nuovo agglomerato urbano da costruire a larga distanza. Una deportazione di un’intera comunità fondata su un allarmismo che trova pochi consensi nella maggior parte dei geologi nazionali. Gli abitanti di Cavallerizzo, però, non ci stanno, non si rassegnano e nutrono la speranza di vedere rinascere il loro borgo. Come un tempo, sulle stesse pietre e negli stessi luoghi. Sono riuniti nell’associazione “Cavallerizzo vive-Kajverici rron”. E adesso chiedono aiuto ai comitati aquilani. Perchè la restituzione delle case e dell’anima originale dei luoghi urbani lega indissolubilmente le due proteste. Di chi non accetta di abbandonarli per sempre.

Una strada tortuosa e immersa nel verde, un po’ di curve, qualche vecchia casa di campagna e in fondo al sentiero vedi volteggiare i fantasmi della “cricca” intorno a un robusto cancello che spezza in due la via di collegamento tra l’antica Cavallerizzo e la vicina San Marco Argentano. Almeno duecento persone sgomberate cinque anni fa, si sono ritrovate domenica mattina per manifestare all’esterno della zona rossa che le separa dalla loro vita. Vogliono riprendersela. Puntano il dito verso la procura di Cosenza: “hanno aperto un’inchiesta, ma non se ne sa più nulla”. Sono certi che nella soluzione amara della loro drammatica vicenda pesano gli interessi dei medesimi personaggi visti in campo a L’Aquila, in Sardegna, Toscana e altrove. E domenica dall’Abruzzo infatti è giunta la solidarietà del Comitato 3,32. Lì come qui si lotta contro la shock economy. Da una parte chi vorrebbe tornare ad abitare il centro storico. Dall’altra il progetto di New Town che dovrebbe essere consegnata entro il 2011. In mezzo 70 milioni di euro spesi per affrontare l’emergenza.

Piangono gli Arbereshe di Cavallerizzo, uno dei 26 centri abitati dalle comunità che nel basso medioevo immigrarono in provincia di Cosenza. Seicento anni fa furono le armate ottomane a scacciare gli Albanesi dalle loro case. Oggi è la Protezione Civile a sbarrare la porta d’ingresso ai discendenti di quel popolo in fuga. “Scusi, posso andare un attimo a casa mia? Voglio recuperare un ombrellone. Se mi lascia entrare, lo piantiamo qui e potrà ripararsi anche lei. Non sente questo caldo?”. La signora Chiara chiede il permesso con materna dolcezza. Secca e meccanica la replica del carabiniere: “Non è possibile, signora. Abbiamo ordini precisi”. La prefettura di Cosenza è stata categorica: la gente non deve oltrepassare il cancello. Che nel frattempo s’è trasformato in bacheca parlante. Quelli dell’associazione “Kajverici Rron” (Cavallerizzo Vive) lo hanno ricoperto di documenti. C’è l’interessante lavoro di Stefania Talarico, originaria di Cavallerizzo, emigrata in America dove cura un blog tematico. Fa nomi e cognomi. Ricostruisce una fitta trama di interessi. Spiega qual è la “filosofia” che ha portato alla delocalizzazione e alla costruzione della new town. Al suo fianco c’è Antonio Madotto, segretario dell’associazione: “La costruzione di un nuovo paese ci è stata imposta. Non ci hanno dato scelta. L’antico abitato di Cavallerizzo, in realtà, non è mai scivolato interamente a valle, altrimenti sarebbe finito proprio sull’area dove tuttora è in fase di costruzione l’orrenda “new town”. È un progetto che annienta il nostro modo di vivere. Mancano una strada di collegamento e diversi altri servizi, non c’è una Chiesa e neanche una scuola. È un quartiere popolare dormitorio di cui la Protezione Civile Nazionale si vanta, fingendo di non sapere che rappresenta la fine della nostra identità”.

Rabbia contro Guido Bertolaso e quanti hanno deciso che bisognasse ricostruire Cavallerizzo di Cerzeto in un altro sito. Qui la gente conosce benissimo questa terra e i suoi mal di pancia. Sa che la frana del 2005 non si sarebbe mai verificata se nel secolo scorso l’abusivismo edilizio non avesse deviato i canali naturali. Ricorda che lo smottamento danneggiò soltanto l’11 % dell’abitato, ma il restante centro storico è ben solido sulla collinetta. Non può franare più. L’inverno scorso, mentre l’intera Calabria smottava, l’antica Cavallerizzo non s’è mossa d’un millimetro. Lo certifica pure la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Calabria: nel luglio 2009 ha vietato qualsiasi opera di demolizione, sollecitando un restauro del vecchio centro abitato. Davanti al cancello ci sono anche dirigenti della Cgil, Italia Nostra e Controinvasioni. Tutti ascoltano con ammirazione la storia di Donna Liliana e dei suoi familiari: un anno fa, incuranti dei divieti, sono tornati a vivere nella vecchia casa. Le autorità hanno tagliato acqua e luce? “Che me ne importa? – spiega la signora – Ho comprato un generatore ed abbiamo incanalato una sorgente. E ho pure mandato un fax a Bertolaso. Voglio vedere se ha il coraggio di venirmi a sgomberare”.

Articolo realizzato in collaborazione con Silvio Messinetti

Pubblicato su “Il manifesto”, giovedì 2 settembre 2010

 

 

 

 

 

 


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