Tempo di un bilancio per la Berlinale 2016 che giunge a conclusione dopo dieci intensi giorni. L’Italia torna a vincere – pochi anni dopo il trionfo di “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani – grazie a Fuocoammare di Gianfranco Rosi.
Death in Sarajevo, gran premio della giuria
Nato nel 1951 e fondato da Alfred Bauer, con l’idea di superare “le rovine” e le divisioni tra i popoli, riportando riportare “l’armonia tra le nazioni”, il festival berlinese conferma il suo periodo di grazia formata dal direttore Dieter Kosslick che ha stilato un programma in perfetto equilibrio tra cinefilia e – con un impianto scenografico di grande suggestione – glam da Red Carpet.
Berlino per contingenza politica ha tentato – senza “fuggire” dal suo ruolo istituzionale – di farsi specchio della realtà storica che stiamo vivendo con quasi il 20 per cento dei titoli a far riferimento esplicitamente o simbolicamente alla tematica migranti/altro e all’integrazione. Se vogliamo immediatamente segnalare un ipotetico limite, la Berlinale nella sua ricchezza ha avuto calo della cinematografia più solida ed interessante del momento, quella sudamericana.
Dieter Kosslick, direttore festival del cinema di Berlino
Meryl Streep alla guida di una giuria a prevalenza femminile che comprendeva Alba Rohrwacher, la regista polacca Malgorzata Szumowska e la fotografa Brigitte Lacombe, nella premiazione al fianco del direttore Dieter Kosslick, ha poi sottolineato l’importanza dell’integrazione-integrazioni nelle nostre società, il film di Rosi è “un’opera potente – dirà il direttore -, siamo orgogliosi di portarlo all’attenzione del mondo”.
La giuria del Festival comprendeva anche Clive Owen, Lars Eidinger, Nick James; oltre a Fuocoammare di Rosi,vincitore di altri due premi collaterali, tra i 18 film in gara anche Genius di Michael Grandage, con Colin Firth and Jude Law, Midnight Special di Jeff Nichols, con Michael Shannon e Joel Edgerton, Alone in Berlin di Vincent Perez, un racconto sulla Seconda Guerra Mondiale con Emma Thompson e Brendan Gleeson e l’Avenir di Mia Hansen-Love, Orso d’argento per il miglior regista con Isabelle Huppert ringraziata dalla regista per la fiducia.
Meryl Streep, alla guida delle giuria del festival
L’Orso d’argento, gran premio della giuria, è stato assegnato al bosniaco Danis Tanovic per Morte a Sarajevo, il racconto del 28 giugno 2014 nella paradossale commemorazione nell’albergo bosniaco dei cent’anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, con il contemporaneo sciopero dei lavoratori del personale. Dopo vent’anni di assenza di un film arabo in concorso vince – per il miglior attore e per la migliore opera prima – un doppio premio il film tunisino Hedi di Mohamed Ben Attia: la vita di un giovane tunisino la cui (terra) madre ha già organizzato il matrimonio. Ci sarà la sua crisi di fronte a nuova stagione d’amore; stagione ricordata dal palco dal premiato Majd Mastoura, dal palco, che eslama “Grazie al popolo della Primavera, della rivoluzione”
Migliore sceneggiatura. per United States of Love di Tomasz Wasilewski, storia di quattro donne di una piccola città su di un fiume, che sognano nell’altra parte una vita migliore. Il racconto di una Comune degli anni Ottanta – in parte biografia del regista Thomas Vinterberg ha premiato Trine Dyrholm con Orso d’argento per la miglior attrice, per il film danese The Commune.
Inhebbek Hedi di Mohamed Ben Attia miglior opera prima
Complessivamente se le sezioni Panorama e Forum hanno confermato la loro solidità, con documentari e fiction cinematografica di sostanza, la rassegna ha segnato dopo anni una parziale scomparsa del cinema asiatico di peso; ma l’Orso d’argento per il miglior contributo artistico è andato al film cinese Chang Jiang Tu (Crosscurrent) di Yang Chao, alla sua bellissima fotografia realizzata lungo il fiume Yangtse. La sezione Panorama document ha regalato The lovers and the despot docyumentario sulle Coree negli anni ’70. L’incredibile rapimento del regista sudcoreano Shin Sang-ok e la ex-moglie e attrice Choe Eun Hee, ordinato da l’allora presidente della Corea del Nord, Kim Jong che sognava con la sua megalomania di costruire un’industria cinematografica che potesse competere con quella statunitense.
United states of love, premio migliore sceleggiatura
Utilizzando immagini di repertorio estremamente rare, affiancate alla storia d’amore dei coniugi rapiti passati per angherie ed il controllo Nordcoreano, Robert Cannan e Ross Adam ripercorrono le tappe di questa storia che ricorda- in chiave tragica e reale – la burla di Heil Cesar dei Cohen. Lungo otto ore e cinque minuti, a Lullabay to the Sorrowful Mystery del filippino Lav Diaz, porta il premio Bauer per l’innovazione in Asia
Chiudiamo ricordando ancora il direttore Kosslick e la sua posizione, stretto tra accoglienza governativa e fatti (che oggi possiamo definire mediatici) di Colonia. Il cinema – le opere selezionate non dovevamo temere un’immagine impietosa del nostro presente e di noi stessi. L’Orso d’argento è per il cortometraggio Balada De Um Batráquio. Film di figli immigrati. Premi figli di questo tempo.
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I vincitori:
Orso d’oro per il miglior cortometraggio: Balada De Um Batráquio di Leonor Teles
Orso d’argento, premio della giuria per il miglior cortometraggio: A Man Returned di Mahdi Fleifel
Orso d’argento, gran premio della giuria: Death in Sarajevo di Danis Tanovic
Premio Audi per il miglior cortometraggio: Jin Zhi Xia Mao di Chiang Wei Liang
Miglior opera prima: Inhebbek Hedi di Mohamed Ben Attia
Premio Bauer per l’innovazione: Lullabay to the Sorrowful Mystery di Lav Diaz
Orso d’argento per il contiributo artistico: Mark Lee Ping-Bing per l’arte cinematografica in Chang Jiang Tu (Crosscurrent) di Yang Chao
Orso d’argento per la miglior sceneggiatura: Tomasz Wasilewski per Zjednoczone stany micocci (United States of Love)
Orso d’argento per il miglior attore: Majd Mastour per Inhebbek Hedi (Hedi) di Mohamed Ben Attia
Orso d’argento per la migliore attrice: Trine Dyrholm per The Commune
Orso d’argento per il miglior regista: Mia Hansen-Love per Things to Come
Dall’inviato Marco Guarella
Berlinale 2016. Un bilancio d’oro tra successi e novità
Tempo di un bilancio per la Berlinale 2016 che giunge a conclusione dopo dieci intensi giorni. L’Italia torna a vincere – pochi anni dopo il trionfo di “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani – grazie a Fuocoammare di Gianfranco Rosi.
Death in Sarajevo, gran premio della giuria
Nato nel 1951 e fondato da Alfred Bauer, con l’idea di superare “le rovine” e le divisioni tra i popoli, riportando riportare “l’armonia tra le nazioni”, il festival berlinese conferma il suo periodo di grazia formata dal direttore Dieter Kosslick che ha stilato un programma in perfetto equilibrio tra cinefilia e – con un impianto scenografico di grande suggestione – glam da Red Carpet.
Berlino per contingenza politica ha tentato – senza “fuggire” dal suo ruolo istituzionale – di farsi specchio della realtà storica che stiamo vivendo con quasi il 20 per cento dei titoli a far riferimento esplicitamente o simbolicamente alla tematica migranti/altro e all’integrazione. Se vogliamo immediatamente segnalare un ipotetico limite, la Berlinale nella sua ricchezza ha avuto calo della cinematografia più solida ed interessante del momento, quella sudamericana.
Dieter Kosslick, direttore festival del cinema di Berlino
Meryl Streep alla guida di una giuria a prevalenza femminile che comprendeva Alba Rohrwacher, la regista polacca Malgorzata Szumowska e la fotografa Brigitte Lacombe, nella premiazione al fianco del direttore Dieter Kosslick, ha poi sottolineato l’importanza dell’integrazione-integrazioni nelle nostre società, il film di Rosi è “un’opera potente – dirà il direttore -, siamo orgogliosi di portarlo all’attenzione del mondo”.
La giuria del Festival comprendeva anche Clive Owen, Lars Eidinger, Nick James; oltre a Fuocoammare di Rosi,vincitore di altri due premi collaterali, tra i 18 film in gara anche Genius di Michael Grandage, con Colin Firth and Jude Law, Midnight Special di Jeff Nichols, con Michael Shannon e Joel Edgerton, Alone in Berlin di Vincent Perez, un racconto sulla Seconda Guerra Mondiale con Emma Thompson e Brendan Gleeson e l’Avenir di Mia Hansen-Love, Orso d’argento per il miglior regista con Isabelle Huppert ringraziata dalla regista per la fiducia.
Meryl Streep, alla guida delle giuria del festival
L’Orso d’argento, gran premio della giuria, è stato assegnato al bosniaco Danis Tanovic per Morte a Sarajevo, il racconto del 28 giugno 2014 nella paradossale commemorazione nell’albergo bosniaco dei cent’anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, con il contemporaneo sciopero dei lavoratori del personale. Dopo vent’anni di assenza di un film arabo in concorso vince – per il miglior attore e per la migliore opera prima – un doppio premio il film tunisino Hedi di Mohamed Ben Attia: la vita di un giovane tunisino la cui (terra) madre ha già organizzato il matrimonio. Ci sarà la sua crisi di fronte a nuova stagione d’amore; stagione ricordata dal palco dal premiato Majd Mastoura, dal palco, che eslama “Grazie al popolo della Primavera, della rivoluzione”
Migliore sceneggiatura. per United States of Love di Tomasz Wasilewski, storia di quattro donne di una piccola città su di un fiume, che sognano nell’altra parte una vita migliore. Il racconto di una Comune degli anni Ottanta – in parte biografia del regista Thomas Vinterberg ha premiato Trine Dyrholm con Orso d’argento per la miglior attrice, per il film danese The Commune.
Inhebbek Hedi di Mohamed Ben Attia miglior opera prima
Complessivamente se le sezioni Panorama e Forum hanno confermato la loro solidità, con documentari e fiction cinematografica di sostanza, la rassegna ha segnato dopo anni una parziale scomparsa del cinema asiatico di peso; ma l’Orso d’argento per il miglior contributo artistico è andato al film cinese Chang Jiang Tu (Crosscurrent) di Yang Chao, alla sua bellissima fotografia realizzata lungo il fiume Yangtse. La sezione Panorama document ha regalato The lovers and the despot docyumentario sulle Coree negli anni ’70. L’incredibile rapimento del regista sudcoreano Shin Sang-ok e la ex-moglie e attrice Choe Eun Hee, ordinato da l’allora presidente della Corea del Nord, Kim Jong che sognava con la sua megalomania di costruire un’industria cinematografica che potesse competere con quella statunitense.
United states of love, premio migliore sceleggiatura
Utilizzando immagini di repertorio estremamente rare, affiancate alla storia d’amore dei coniugi rapiti passati per angherie ed il controllo Nordcoreano, Robert Cannan e Ross Adam ripercorrono le tappe di questa storia che ricorda- in chiave tragica e reale – la burla di Heil Cesar dei Cohen. Lungo otto ore e cinque minuti, a Lullabay to the Sorrowful Mystery del filippino Lav Diaz, porta il premio Bauer per l’innovazione in Asia
Chiudiamo ricordando ancora il direttore Kosslick e la sua posizione, stretto tra accoglienza governativa e fatti (che oggi possiamo definire mediatici) di Colonia. Il cinema – le opere selezionate non dovevamo temere un’immagine impietosa del nostro presente e di noi stessi. L’Orso d’argento è per il cortometraggio Balada De Um Batráquio. Film di figli immigrati. Premi figli di questo tempo.
.
I vincitori:
Orso d’oro per il miglior cortometraggio: Balada De Um Batráquio di Leonor Teles
Orso d’argento, premio della giuria per il miglior cortometraggio: A Man Returned di Mahdi Fleifel
Orso d’argento, gran premio della giuria: Death in Sarajevo di Danis Tanovic
Premio Audi per il miglior cortometraggio: Jin Zhi Xia Mao di Chiang Wei Liang
Miglior opera prima: Inhebbek Hedi di Mohamed Ben Attia
Premio Bauer per l’innovazione: Lullabay to the Sorrowful Mystery di Lav Diaz
Orso d’argento per il contiributo artistico: Mark Lee Ping-Bing per l’arte cinematografica in Chang Jiang Tu (Crosscurrent) di Yang Chao
Orso d’argento per la miglior sceneggiatura: Tomasz Wasilewski per Zjednoczone stany micocci (United States of Love)
Orso d’argento per il miglior attore: Majd Mastour per Inhebbek Hedi (Hedi) di Mohamed Ben Attia
Orso d’argento per la migliore attrice: Trine Dyrholm per The Commune
Orso d’argento per il miglior regista: Mia Hansen-Love per Things to Come
Dall’inviato Marco Guarella
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