Nanni Savant, partigiano combattente, è morto ad 84 anni. Si è spento nella sua abitazione di San Pietro, in Val di Lanzo, in Piemonte. A sedici anni scelse la via della guerriglia partigiana, divenendo l’armiere della 46° Brigata Garibaldi “Massimo Vassallo”. “Ebbi l’onore di conoscerlo quando decidemmo di ritornare sulle tracce di un altro patriota catanzarese”
Nanni Savant, partigiano piemontese morto di recente
Ci sono momenti nella vita in cui realizzi che dire che il destino è davvero bizzarro, è qualcosa in più di una semplice frase fatta.
Uno di questi momenti mi si è presentato quando una telefonata di prima mattina mi annunciava la morte di Nanni Savant, proprio mentre la sua figura veniva strappata all’oblio che se n’era quasi interamente impadronita, probabilmente in maniera definitiva. Ciò, grazie all’opera di alcuni giovani (tra cui il sottoscritto) che in un lavoro di ricerca su un partigiano catanzarese (Aldo Barbaro), si erano imbattuti in lui e compresero immediatamente l’importanza dei suoi racconti, del suo vissuto, delle emozioni.
A distanza di quasi settant’anni riusciva a trasmettere con il trasporto di un ragazzino, mentre il vento tipico delle Alpi Graie gli scompigliava i bianchissimi capelli dandogli un aspetto mitico, come uno dei vecchi saggi dell’antichità dallo sguardo romantico di un sognatore, ma allo stesso tempo duro come il quarzo (che mi regalò alla conclusione dell’incontro e che è presente massicciamente in quelle montagne) di chi ne aveva viste di tutti i colori.
Nanni è morto a 84 anni, nella sua abitazione di S.Pietro, nella Valle di Lanzo, località di cui fino alla fine dei suoi giorni è stata una figura di raccordo tra un’epoca passata e forse dimenticata troppo in fretta ed un’altra che ha disperatamente bisogno di riscoprire il proprio patrimonio storico e sociale per evitare di cadere negli stessi errori ed orrori di molto tempo fa.
A sedici anni, infatti, scelse la via della guerriglia partigiana, divenendo l’armiere della 46° Brigata Garibaldi “Massimo Vassallo”, in una delle regioni in cui le azioni dei ribelli delle montagne furono più intense e dove la risposta dell’occupante nazista e dei suoi sgherri repubblichini fu di una ferocia inaudita. Furono proprio gli esecrandi atti nella frazione di Vietti e, soprattutto, l’eccidio del Cudine che ne segnarono la vita non soltanto nell’immediato, ma anche per i giorni a venire. Da quel momento in poi sarebbe stato l’unico testimone di quelle efferatezze, una delle memorie storiche della Valle di Lanzo. Spesso e volentieri alle scolaresche dei paesi limitrofi narrava ciò che solo i suoi occhi potevano raccontare. Con dedizione ed impegno mimava tutti i particolari di quei tragici istanti con la forza di un ragazzino. Ricordo ancora la commozione quando gli apparimmo noi, quattro giovani che avevano attraversato l’Italia per ripercorrere quelle storie, la sua storia; indimenticabile lo sguardo fiero con cui ci mostrò la bandiera della sua brigata che custodiva come meglio non poteva. Una carica di adrenalina che riuscirebbe a smuovere anche i più ignavi, che di certo, in questi tempi non mancano affatto.
Nonostante qualche video-intervista, si può tranquillamente affermare che la figura del maestro di musica in pensione, Nanni Savant sia, ai più, quasi completamente sconosciuta. Nonostante possa a buon titolo essere indicato come un componente di primaria importanza per la costruzione della memoria storica ed un punto di riferimento per chiunque, pur non conoscendolo personalmente, anche a distanza di vari decenni si riconosca in quegli stessi valori che Nanni difese prima da guerrigliero e poi da custode. Può essere definito quindi, come un eroe anonimo o quasi, un prode valoroso che, come la stragrande maggioranza dei suoi compagni di battaglia, fu frettolosamente buttato nel dimenticatoio della storia. Sarebbero stati fondamentali i suoi insegnamenti e le sue esperienze, come quelle di tanti altri giovinetti come lui, o forse con qualche anno in più, decisi a riscattare l’onore e l’orgoglio della propria nazione, brutalizzata da un’orrenda occupazione. Beffata inoltre dalla collaborazione dei repubblichini nel ruolo del fratello Caino in seno a quella guerra civile che si consumò sulla Penisola. Racconti che hanno ceduto il passo a delle interpretazioni strumentali di comodo ed a cui le contrapposte visioni manichee della nostra storia patrìa avevano negato una giusta e doverosa analisi. Così da un lato vi era una tendenza che edulcorava la storia dai suoi particolari più truci e spinosi, in modo da consegnare all’opinione pubblica un’idea di unità nazionale, (in cui il ventennio fu solo uno sciagurato imprevisto da cui il corpo sociale della nazione ne uscì compatto arrivando fin quasi a tralasciare il fatto che nonostante un tardivo pentimento, l’Italia era scesa in campo, perdendo, a fianco della Germania nazista) che tutt’ora nonostante gli sforzi profusi in tale ambito, non siamo riusciti ad ottenere. Per reazione, si sviluppò, ad opera di storici ed intellettuali dotati di un certo spessore culturale, di un grande seguito personale ed animati dalla voglia di andare controcorrente, un altro filone che intendeva svilire la Resistenza e l’antifascismo, arrivando a parlare di quest’ultimo come di una “leggenda rosa”, quasi come un fenomeno agiografico più che come un reale fatto storico. Sottolineando (con esagerazione e poco rispetto delle norme storiografiche) da un lato l’esiguità numerica dei partigiani e dall’altro il carattere passivo ed attendista del popolo italiano che avrebbe aspettato l’arrivo dei liberatori piuttosto che prendere le armi. Avendo tuttavia davanti agli occhi il punto d’approdo di queste teorie che nel nostro Paese hanno costituito l’impalcatura ideologica del modello neo-liberista, il cui obiettivo era espellere dalla storia l’idea di rivoluzione e d’insurrezione popolare delle masse a vantaggio delle èlites e che il cambiamento sociale non fosse avvenuto per le sollecitazioni e le pressioni dal basso, ma per le concessioni dall’alto; bisogna avere l’onestà intellettuale di confrontarsi con la storia a trecentosessanta gradi, non tralasciando nessun aspetto, neanche quelli più oscuri o più frivoli, come ha fatto Nanni fino agli ultimi giorni della sua vita in mezzo agli scolaretti della zona. Continuando così a farlo vivere attraverso i nostri racconti, infiammando i cuori di nuove generazioni, spiegando loro che ribellarsi di fronte all’ingiustizia non solo è giusto ma è inevitabile. Ora, guardandoci dal pantheon degli eroi contemporanei intonerà qualche coro che era solito cantare sulle montagne, in quei giorni eroici.
Arrivederci Nanni, che la terra ti sia lieve!
Nanni Savant, partigiano combattente, è morto ad 84 anni. Si è spento nella sua abitazione di San Pietro, in Val di Lanzo, in Piemonte. A sedici anni scelse la via della guerriglia partigiana, divenendo l’armiere della 46° Brigata Garibaldi “Massimo Vassallo”. “Ebbi l’onore di conoscerlo quando decidemmo di ritornare sulle tracce di un altro patriota catanzarese”
Nanni Savant, partigiano piemontese morto di recente
Ci sono momenti nella vita in cui realizzi che dire che il destino è davvero bizzarro, è qualcosa in più di una semplice frase fatta.
Uno di questi momenti mi si è presentato quando una telefonata di prima mattina mi annunciava la morte di Nanni Savant, proprio mentre la sua figura veniva strappata all’oblio che se n’era quasi interamente impadronita, probabilmente in maniera definitiva. Ciò, grazie all’opera di alcuni giovani (tra cui il sottoscritto) che in un lavoro di ricerca su un partigiano catanzarese (Aldo Barbaro), si erano imbattuti in lui e compresero immediatamente l’importanza dei suoi racconti, del suo vissuto, delle emozioni.
A distanza di quasi settant’anni riusciva a trasmettere con il trasporto di un ragazzino, mentre il vento tipico delle Alpi Graie gli scompigliava i bianchissimi capelli dandogli un aspetto mitico, come uno dei vecchi saggi dell’antichità dallo sguardo romantico di un sognatore, ma allo stesso tempo duro come il quarzo (che mi regalò alla conclusione dell’incontro e che è presente massicciamente in quelle montagne) di chi ne aveva viste di tutti i colori.
Nanni è morto a 84 anni, nella sua abitazione di S.Pietro, nella Valle di Lanzo, località di cui fino alla fine dei suoi giorni è stata una figura di raccordo tra un’epoca passata e forse dimenticata troppo in fretta ed un’altra che ha disperatamente bisogno di riscoprire il proprio patrimonio storico e sociale per evitare di cadere negli stessi errori ed orrori di molto tempo fa.
A sedici anni, infatti, scelse la via della guerriglia partigiana, divenendo l’armiere della 46° Brigata Garibaldi “Massimo Vassallo”, in una delle regioni in cui le azioni dei ribelli delle montagne furono più intense e dove la risposta dell’occupante nazista e dei suoi sgherri repubblichini fu di una ferocia inaudita. Furono proprio gli esecrandi atti nella frazione di Vietti e, soprattutto, l’eccidio del Cudine che ne segnarono la vita non soltanto nell’immediato, ma anche per i giorni a venire. Da quel momento in poi sarebbe stato l’unico testimone di quelle efferatezze, una delle memorie storiche della Valle di Lanzo. Spesso e volentieri alle scolaresche dei paesi limitrofi narrava ciò che solo i suoi occhi potevano raccontare. Con dedizione ed impegno mimava tutti i particolari di quei tragici istanti con la forza di un ragazzino. Ricordo ancora la commozione quando gli apparimmo noi, quattro giovani che avevano attraversato l’Italia per ripercorrere quelle storie, la sua storia; indimenticabile lo sguardo fiero con cui ci mostrò la bandiera della sua brigata che custodiva come meglio non poteva. Una carica di adrenalina che riuscirebbe a smuovere anche i più ignavi, che di certo, in questi tempi non mancano affatto.
Nonostante qualche video-intervista, si può tranquillamente affermare che la figura del maestro di musica in pensione, Nanni Savant sia, ai più, quasi completamente sconosciuta. Nonostante possa a buon titolo essere indicato come un componente di primaria importanza per la costruzione della memoria storica ed un punto di riferimento per chiunque, pur non conoscendolo personalmente, anche a distanza di vari decenni si riconosca in quegli stessi valori che Nanni difese prima da guerrigliero e poi da custode. Può essere definito quindi, come un eroe anonimo o quasi, un prode valoroso che, come la stragrande maggioranza dei suoi compagni di battaglia, fu frettolosamente buttato nel dimenticatoio della storia. Sarebbero stati fondamentali i suoi insegnamenti e le sue esperienze, come quelle di tanti altri giovinetti come lui, o forse con qualche anno in più, decisi a riscattare l’onore e l’orgoglio della propria nazione, brutalizzata da un’orrenda occupazione. Beffata inoltre dalla collaborazione dei repubblichini nel ruolo del fratello Caino in seno a quella guerra civile che si consumò sulla Penisola. Racconti che hanno ceduto il passo a delle interpretazioni strumentali di comodo ed a cui le contrapposte visioni manichee della nostra storia patrìa avevano negato una giusta e doverosa analisi. Così da un lato vi era una tendenza che edulcorava la storia dai suoi particolari più truci e spinosi, in modo da consegnare all’opinione pubblica un’idea di unità nazionale, (in cui il ventennio fu solo uno sciagurato imprevisto da cui il corpo sociale della nazione ne uscì compatto arrivando fin quasi a tralasciare il fatto che nonostante un tardivo pentimento, l’Italia era scesa in campo, perdendo, a fianco della Germania nazista) che tutt’ora nonostante gli sforzi profusi in tale ambito, non siamo riusciti ad ottenere. Per reazione, si sviluppò, ad opera di storici ed intellettuali dotati di un certo spessore culturale, di un grande seguito personale ed animati dalla voglia di andare controcorrente, un altro filone che intendeva svilire la Resistenza e l’antifascismo, arrivando a parlare di quest’ultimo come di una “leggenda rosa”, quasi come un fenomeno agiografico più che come un reale fatto storico. Sottolineando (con esagerazione e poco rispetto delle norme storiografiche) da un lato l’esiguità numerica dei partigiani e dall’altro il carattere passivo ed attendista del popolo italiano che avrebbe aspettato l’arrivo dei liberatori piuttosto che prendere le armi. Avendo tuttavia davanti agli occhi il punto d’approdo di queste teorie che nel nostro Paese hanno costituito l’impalcatura ideologica del modello neo-liberista, il cui obiettivo era espellere dalla storia l’idea di rivoluzione e d’insurrezione popolare delle masse a vantaggio delle èlites e che il cambiamento sociale non fosse avvenuto per le sollecitazioni e le pressioni dal basso, ma per le concessioni dall’alto; bisogna avere l’onestà intellettuale di confrontarsi con la storia a trecentosessanta gradi, non tralasciando nessun aspetto, neanche quelli più oscuri o più frivoli, come ha fatto Nanni fino agli ultimi giorni della sua vita in mezzo agli scolaretti della zona. Continuando così a farlo vivere attraverso i nostri racconti, infiammando i cuori di nuove generazioni, spiegando loro che ribellarsi di fronte all’ingiustizia non solo è giusto ma è inevitabile. Ora, guardandoci dal pantheon degli eroi contemporanei intonerà qualche coro che era solito cantare sulle montagne, in quei giorni eroici.
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