Accogliamo con grande stupore la notizia secondo cui la corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di secondo grado emessa a carico di Franco Simone Bevilacqua e Fabio Critelli, imputati per la morte di Aldo Cantafio, 41enne trovato cadavere il 25 maggio 2010 sul pianerottolo di uno stabile in via Teano. Franco Bevilacqua, rom catanzarese di 29 anni, era stato accusato di spaccio di sostanze stupefacenti e morte come conseguenza di altro delitto. Fabio Critelli, 34 anni, era accusato di favoreggiamento ma era stato assolto in primo grado. Per questa ragione riproponiamo un pezzo scritto poche settimane dopo la morte di un amico.
CATANZARO. Quella mattina c’era il sole e lui aveva la solita capigliatura tirata all’indietro, “bagnata”, tipica anni Ottanta. Stessa fisionomia, stessa sagoma, sguardo intenso, tutto un programma. Si presentò così. Squilla il citofono, mi alzo a piedi nudi dal letto, acchiappo la cornetta e rispondo. Chi è? Sono Aldo Maria Cantafio!
Ls Curva massimo Capraro espone uno striscione in ricordo di Aldo Maria Cantafio, morto il 25 maggio 2010 in circostanze ancora tutte da chiarire
Nove del mattino, inaspettatamente squilla il citofono. Mi alzo a piedi nudi dal letto, acchiappo la cornetta e rispondo. Chi è? Sono Aldo Maria Cantafio. Ahahahahahah…!!! scoppio in una fragorosa risata. Non ci volevo credere! Era una vita che non sentivo quella voce inconfondibile, almeno 3 anni. Non sapevo neppure come avesse fatto a trovare subito l’indirizzo di quella casa ma ero felice una pasqua. Sali, aldù, Sali. Venti secondi e me lo ritrovo dietro la porta di casa.
Che sorpresa, aldù, come stai? Quella mattina c’era il sole e lui aveva la solita capigliatura tirata all’indietro, “bagnata”, tipica anni Ottanta. Stessa fisionomia, stessa sagoma, sguardo intenso, tutto un programma. “Bene, totò, bene e tu? Io niente male, ero ancora a letto, ma non fa niente, mi alzo. “Ti ho portato due paste, vedi un po’ se ti piacciono, sono al cioccolato”. Allora no! così vado a cacare – ribatto, sghignazzando – e comunque sei sempre il solito signorone!!! Non era tempo di vacche grasse quello, e neppure di grandi risate, quindi la presenza di Aldo era come un toccasana. Allora, amico mio, che mi racconti? Mah, tutto vecchio, ora sono a Crotone e sono ritornato a lavorare al Consorzio di bonifica, sto abbastanza bene. Passano pochi secondi e irrompe all’improvviso quel vecchio boato: “a tremilaaaaaaaaa!!!”.
Ridiamo come pazzi scambiandoci manate affettuose e facendo ping pong di ricordi, a dir poco trash! “E il monco – mi chiese più volte – dov’è? Come sta? Beccaccia, Luciano, Ermanno. E Taliano? – mimando il suo tono di voce – . E e gli altri dei tipsy cchi fina ficiaru? E Matteo?” Indimenticabili le scene del suo matrimonio… Era troppo simpatica la sua naturalezza nel dire le cose, senza considerare affatto che era stato lui a sparire dalla circolazione per un bel pezzo. Ma era bello per questo, perché faceva sentire gli altri in imbarazzo anche quando era lui in una posizione di netta difficoltà. Sembrava non fosse passato neppure un giorno da quando mi salutò per andare in comunità.
Voleva combattere a tutti i costi la sua “dipendenza” ed aveva capito che una soluzione poteva essere rappresentata proprio da quell’insopportabile terapia intensiva a cui non tutti intendono sottoporsi. Ma lui con umiltà lo fece e dopo tre anni, rieccolo lì, nuovamente tra noi, sulla strada, con la stessa verve di sempre, tra birre ed aneddoti, con l’immutata ironia tagliente e sincera che lo ha reso fantastico ed originale. Vabbò, aldù, fai un caffè alla tua maniera, intanto mi dò una sciacquata e indosso qualcosa. “Come no, compà, ma c’è tutto?” Si, si, almeno il caffè c’è. Movimenti ordinati e minuziosi, inizia a montare la macchinetta a vite. Lui era così, preciso e pignolo, molto riflessivo, attento ai suoi gesti e a quelli degli altri. Di tanto in tanto, riesumava nomi di calciatori sbiaditi dal tempo e faceva a gara con Mariano e Raffaele, anche loro fanatici di queste cose, sulla memoria del calcio perduto.
A me piaceva molto come tipo, a volte era inquietante, è vero, ma era senza dubbio un personaggio interessante, non ti scocciava mai, uno di quelli che il tempo non scalfisce neppure un po’. Un ultras vecchia maniera, assolutamente fuori dalle righe, non inquadrato, libero, un amico a cui piaceva discutere ore ed ore della vita, che si poneva molti perché, che non si tirava indietro, e poi era sveglio, brillante nei ragionamenti e quando doveva dire una cosa, anche un pò spiacevole, lo faceva con un senso di lealtà invidiabile. Sregolato, un po’ come tutti noi. Uno di quelle persone che non incontri più facilmente. Profondamente anticonformista. Dedito alla lettura e amante della narrativa. Sensibile alla vita e non indifferente a ciò che ci circonda. Forse questo fu l’unico suo “difetto” che lo portò alle tenebre prima del previsto: la non indifferenza verso una società non sempre bella che ha il potere si indebolire le coscienze più delicate fino al totale deperimento e ad una fine maledettamente drammatica.
5 minuti dopo, il caffè è pronto. La tazzina è già sul tavolo. Ottimo Aldù, non ti smentisci mai, un vero maestro! Altre risate grasse e fragorose! Era una coglionetta continua, tra tutti di noi. “Ok – esordisce ad un certo punto, dal nulla – allora a Castellammare andiamo insieme? Io, tu e Francesco?” Forse c’è pure Gioman – aggiungo – . “Poi basta, vero? Quattro è il numero perfetto”. Embè, certamente – confermo – .
Siamo stati sempre un po’ fissati sulla selezione, forse troppo, ma questo principio ci faceva vivere le cose in maniera più audace coltivando quello spirito d’avventura che non guasta mai. Era una vita che non si andava in trasferta insieme, sembrava fossero tornati i tempi di Nardò, fine anni Novanta, del travaso del vino dalla damigiana alle bottiglie, i periodi in cui si partiva solo poche macchine all’avventura. Anni bui del calcio che tuttavia videro fiorire un gruppo di amici molto allegro e compatto che si fece rispettare dovunque.
Ma ad Aldo lo conobbi molto prima, ai tempi del Classico, fine anni Ottanta, inizi anni Novanta, stagione Brigata. All’epoca stava con una ragazza molto carina che successivamente diventò mia compagna di classe. Anche allora era inconfondibile. Fisico asciutto e snello. Giocava in porta ma ogni tanto si staccava come un pazzo per fare le sue sortite in mezzo al campo. Molto più in là fu ribattezzato l’angelo bianco, una sera in cui, al mitico campetto dell’Aldisio, andava su e giù da una porta all’altra facendo planare al vento come un airone la sua camicia sbottonata di cotone bianco e segnando gol improbabili, seguiti da esultanze alla Mammì. Ovviamente, quando c’era lui le risate erano assicurate.
Qualche tempo dopo ci ritrovammo, sempre a casa mia, pronti per la trasferta più importante del campionato: lo scontro al vertice con la Juve Stabia che finì con una immeritata sconfitta. Fu una serata particolare, dal sapore antico, che riportava in vita l’atmosfera del passato. Lo spirito fanciullesco in fondo non era mutato ma l’età si faceva sentire. La mattina, prima di partire, Aldo preparò un altro buon caffè che addirittura mi portò a letto per smorzare i miei bruschi risvegli.
Fu l’ultimo che ebbi il piacere di gustare da lui, così come la delicatezza che dipingeva il suo stile. Ma di quella domenica bestiale ricordo le sue invettive contro di me nel settore ospiti: “devi cantaaaaare!” L’avrà ripetuto tante di quelle volte che mi costrinse ad ingaggiare una energica ma necessaria colluttazione per liberarmi da quel tormentone! Durante la partita lo persi di vista, poi, verso la fine, lo rintracciai nuovamente appollaiato sulle scalette dell’ingresso, immobile, impassibile, sembrava una statua di gesso mentre trascorrevano gli ultimi minuti di una gara dall’esito quasi scritto ma non certo per la qualità del gioco.
Lo chiamai: Aldù, ma dove cazzo eri finito? “Ma tu dov’eri finito?” – ribattè subito, rilanciandomi al volo la palla – . Ovviamente rido, e lui fa qualche passo e si appoggia alla balaustra adiacente al terreno gioco. Qualche minuto dopo arriva il triplice fischio. All’uscita, bombarda Paolino, avvelenato dalla solita sconfitta campana e gli urla a ripetizione: “metti tensioooneee”. Glielo avrà ripetuto decine di volte. Che personaggio! Molti anni prima, capitava spesso di rivederlo, in Curva, dopo intere settimane di assenza, a cantare nel gruppo. Spuntava e andava via di nuovo. E fu per questo suo modo di intendere la vita che venne fuori quella simpatica canzoncina: “Aldo C., l’han visto la domenica cantare con gli Uc…”.
Ricorderò Aldo per quel super santos arancione provenienza “Mexico” che suonava la carica estiva, per quei ventuno giorni d’agosto trascorsi in tenda al Blanca, per il covo di Copanello, per le interminabili trasferte, per le lunghe conversazioni consumate nel verde della vecchia scuola agraria, per le bevute, per la scalmanata romana a casa di paschè. Per la sua immensa disponibilità. Ciao Aldù, penso a te e mi spunta il sorriso sulla labbra!
A volte vanno via in silenzio… e ti lasciano senza parole!
Accogliamo con grande stupore la notizia secondo cui la corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di secondo grado emessa a carico di Franco Simone Bevilacqua e Fabio Critelli, imputati per la morte di Aldo Cantafio, 41enne trovato cadavere il 25 maggio 2010 sul pianerottolo di uno stabile in via Teano. Franco Bevilacqua, rom catanzarese di 29 anni, era stato accusato di spaccio di sostanze stupefacenti e morte come conseguenza di altro delitto. Fabio Critelli, 34 anni, era accusato di favoreggiamento ma era stato assolto in primo grado. Per questa ragione riproponiamo un pezzo scritto poche settimane dopo la morte di un amico.
CATANZARO. Quella mattina c’era il sole e lui aveva la solita capigliatura tirata all’indietro, “bagnata”, tipica anni Ottanta. Stessa fisionomia, stessa sagoma, sguardo intenso, tutto un programma. Si presentò così. Squilla il citofono, mi alzo a piedi nudi dal letto, acchiappo la cornetta e rispondo. Chi è? Sono Aldo Maria Cantafio!
Ls Curva massimo Capraro espone uno striscione in ricordo di Aldo Maria Cantafio, morto il 25 maggio 2010 in circostanze ancora tutte da chiarire
Nove del mattino, inaspettatamente squilla il citofono. Mi alzo a piedi nudi dal letto, acchiappo la cornetta e rispondo. Chi è? Sono Aldo Maria Cantafio. Ahahahahahah…!!! scoppio in una fragorosa risata. Non ci volevo credere! Era una vita che non sentivo quella voce inconfondibile, almeno 3 anni. Non sapevo neppure come avesse fatto a trovare subito l’indirizzo di quella casa ma ero felice una pasqua. Sali, aldù, Sali. Venti secondi e me lo ritrovo dietro la porta di casa.
Che sorpresa, aldù, come stai? Quella mattina c’era il sole e lui aveva la solita capigliatura tirata all’indietro, “bagnata”, tipica anni Ottanta. Stessa fisionomia, stessa sagoma, sguardo intenso, tutto un programma. “Bene, totò, bene e tu? Io niente male, ero ancora a letto, ma non fa niente, mi alzo. “Ti ho portato due paste, vedi un po’ se ti piacciono, sono al cioccolato”. Allora no! così vado a cacare – ribatto, sghignazzando – e comunque sei sempre il solito signorone!!! Non era tempo di vacche grasse quello, e neppure di grandi risate, quindi la presenza di Aldo era come un toccasana. Allora, amico mio, che mi racconti? Mah, tutto vecchio, ora sono a Crotone e sono ritornato a lavorare al Consorzio di bonifica, sto abbastanza bene. Passano pochi secondi e irrompe all’improvviso quel vecchio boato: “a tremilaaaaaaaaa!!!”.
Ridiamo come pazzi scambiandoci manate affettuose e facendo ping pong di ricordi, a dir poco trash! “E il monco – mi chiese più volte – dov’è? Come sta? Beccaccia, Luciano, Ermanno. E Taliano? – mimando il suo tono di voce – . E e gli altri dei tipsy cchi fina ficiaru? E Matteo?” Indimenticabili le scene del suo matrimonio… Era troppo simpatica la sua naturalezza nel dire le cose, senza considerare affatto che era stato lui a sparire dalla circolazione per un bel pezzo. Ma era bello per questo, perché faceva sentire gli altri in imbarazzo anche quando era lui in una posizione di netta difficoltà. Sembrava non fosse passato neppure un giorno da quando mi salutò per andare in comunità.
Voleva combattere a tutti i costi la sua “dipendenza” ed aveva capito che una soluzione poteva essere rappresentata proprio da quell’insopportabile terapia intensiva a cui non tutti intendono sottoporsi. Ma lui con umiltà lo fece e dopo tre anni, rieccolo lì, nuovamente tra noi, sulla strada, con la stessa verve di sempre, tra birre ed aneddoti, con l’immutata ironia tagliente e sincera che lo ha reso fantastico ed originale. Vabbò, aldù, fai un caffè alla tua maniera, intanto mi dò una sciacquata e indosso qualcosa. “Come no, compà, ma c’è tutto?” Si, si, almeno il caffè c’è. Movimenti ordinati e minuziosi, inizia a montare la macchinetta a vite. Lui era così, preciso e pignolo, molto riflessivo, attento ai suoi gesti e a quelli degli altri. Di tanto in tanto, riesumava nomi di calciatori sbiaditi dal tempo e faceva a gara con Mariano e Raffaele, anche loro fanatici di queste cose, sulla memoria del calcio perduto.
A me piaceva molto come tipo, a volte era inquietante, è vero, ma era senza dubbio un personaggio interessante, non ti scocciava mai, uno di quelli che il tempo non scalfisce neppure un po’. Un ultras vecchia maniera, assolutamente fuori dalle righe, non inquadrato, libero, un amico a cui piaceva discutere ore ed ore della vita, che si poneva molti perché, che non si tirava indietro, e poi era sveglio, brillante nei ragionamenti e quando doveva dire una cosa, anche un pò spiacevole, lo faceva con un senso di lealtà invidiabile. Sregolato, un po’ come tutti noi. Uno di quelle persone che non incontri più facilmente. Profondamente anticonformista. Dedito alla lettura e amante della narrativa. Sensibile alla vita e non indifferente a ciò che ci circonda. Forse questo fu l’unico suo “difetto” che lo portò alle tenebre prima del previsto: la non indifferenza verso una società non sempre bella che ha il potere si indebolire le coscienze più delicate fino al totale deperimento e ad una fine maledettamente drammatica.
5 minuti dopo, il caffè è pronto. La tazzina è già sul tavolo. Ottimo Aldù, non ti smentisci mai, un vero maestro! Altre risate grasse e fragorose! Era una coglionetta continua, tra tutti di noi. “Ok – esordisce ad un certo punto, dal nulla – allora a Castellammare andiamo insieme? Io, tu e Francesco?” Forse c’è pure Gioman – aggiungo – . “Poi basta, vero? Quattro è il numero perfetto”. Embè, certamente – confermo – .
Siamo stati sempre un po’ fissati sulla selezione, forse troppo, ma questo principio ci faceva vivere le cose in maniera più audace coltivando quello spirito d’avventura che non guasta mai. Era una vita che non si andava in trasferta insieme, sembrava fossero tornati i tempi di Nardò, fine anni Novanta, del travaso del vino dalla damigiana alle bottiglie, i periodi in cui si partiva solo poche macchine all’avventura. Anni bui del calcio che tuttavia videro fiorire un gruppo di amici molto allegro e compatto che si fece rispettare dovunque.
Ma ad Aldo lo conobbi molto prima, ai tempi del Classico, fine anni Ottanta, inizi anni Novanta, stagione Brigata. All’epoca stava con una ragazza molto carina che successivamente diventò mia compagna di classe. Anche allora era inconfondibile. Fisico asciutto e snello. Giocava in porta ma ogni tanto si staccava come un pazzo per fare le sue sortite in mezzo al campo. Molto più in là fu ribattezzato l’angelo bianco, una sera in cui, al mitico campetto dell’Aldisio, andava su e giù da una porta all’altra facendo planare al vento come un airone la sua camicia sbottonata di cotone bianco e segnando gol improbabili, seguiti da esultanze alla Mammì. Ovviamente, quando c’era lui le risate erano assicurate.
Qualche tempo dopo ci ritrovammo, sempre a casa mia, pronti per la trasferta più importante del campionato: lo scontro al vertice con la Juve Stabia che finì con una immeritata sconfitta. Fu una serata particolare, dal sapore antico, che riportava in vita l’atmosfera del passato. Lo spirito fanciullesco in fondo non era mutato ma l’età si faceva sentire. La mattina, prima di partire, Aldo preparò un altro buon caffè che addirittura mi portò a letto per smorzare i miei bruschi risvegli.
Fu l’ultimo che ebbi il piacere di gustare da lui, così come la delicatezza che dipingeva il suo stile. Ma di quella domenica bestiale ricordo le sue invettive contro di me nel settore ospiti: “devi cantaaaaare!” L’avrà ripetuto tante di quelle volte che mi costrinse ad ingaggiare una energica ma necessaria colluttazione per liberarmi da quel tormentone! Durante la partita lo persi di vista, poi, verso la fine, lo rintracciai nuovamente appollaiato sulle scalette dell’ingresso, immobile, impassibile, sembrava una statua di gesso mentre trascorrevano gli ultimi minuti di una gara dall’esito quasi scritto ma non certo per la qualità del gioco.
Lo chiamai: Aldù, ma dove cazzo eri finito? “Ma tu dov’eri finito?” – ribattè subito, rilanciandomi al volo la palla – . Ovviamente rido, e lui fa qualche passo e si appoggia alla balaustra adiacente al terreno gioco. Qualche minuto dopo arriva il triplice fischio. All’uscita, bombarda Paolino, avvelenato dalla solita sconfitta campana e gli urla a ripetizione: “metti tensioooneee”. Glielo avrà ripetuto decine di volte. Che personaggio! Molti anni prima, capitava spesso di rivederlo, in Curva, dopo intere settimane di assenza, a cantare nel gruppo. Spuntava e andava via di nuovo. E fu per questo suo modo di intendere la vita che venne fuori quella simpatica canzoncina: “Aldo C., l’han visto la domenica cantare con gli Uc…”.
Ricorderò Aldo per quel super santos arancione provenienza “Mexico” che suonava la carica estiva, per quei ventuno giorni d’agosto trascorsi in tenda al Blanca, per il covo di Copanello, per le interminabili trasferte, per le lunghe conversazioni consumate nel verde della vecchia scuola agraria, per le bevute, per la scalmanata romana a casa di paschè. Per la sua immensa disponibilità. Ciao Aldù, penso a te e mi spunta il sorriso sulla labbra!
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